Cinquant’anni fa si guardava al 2023 come a un anno, a un numero, futuristico; qualcuno pensava che le auto avrebbero volato sul serio, qualcun altro si aspettava che l’interazione tra gli esseri umani sarebbe miseramente fallita a causa delle interferenze digitali. Ologrammi, robot e viaggi nel tempo: una progressione perpetua verso una macabra e inquietante presa di potere da parte delle tecnologie.
Le principali preoccupazioni riguardavano anche la società, di quanto sarebbe cambiata e se gli equilibri si sarebbero davvero del tutto spezzati. Invece, anche se effettivamente siamo con un piede nel Metaverso, le cose non sono poi così diverse. Ancora siamo qui a chiederci perché la parità di genere non sia la norma, anzi. E a parlare sono i fatti. La realtà restituita dai numeri e dalle esperienze quotidiane conferma che il gender gap, in qualsiasi ambito, è ancora molto, troppo, ampio, nonostante i – lentissimi – passi compiuti negli ultimi cinque decenni.
In questo articolo, ci occuperemo in particolare delle donne nello sport, di quanto il divario con i colleghi uomini, che si tratti di dirigenti o atleti, sia importante e ben lontano dall’essere colmato. Il punto di vista di scrive è quello di una donna; pertanto, spazio ai dati e agli atti insindacabili.
Al fine di raccontare al meglio l’attuale situazione nostrana ed Europea, analizzeremo una relazione del 2022, dal titolo “Verso una maggiore uguaglianza di Genere nello Sport”, realizzata dalla Commissione Europea sul tema. Nel documento si passano in rassegna tutte le criticità relative all’affermazione delle donne nell’ambito sportivo; dagli allenamenti alla partecipazione alle gare ufficiali, passando per la leadership, gli aspetti economici, la copertura mediatica e la violenza di genere.
Donne e Sport nel 2023: perché sono importanti i dati
Prima di entrare nel vivo della questione, guardiamo a dati e statistiche, che torneranno poi utili nel corso della lettura. D’altra pare sono i numeri a identificare l’entità e la gravità di un problema.
L’Eurostat, l’istituto di statistica europeo, ha condotto un censimento nel 2020 per determinare quante persone dell’Unione Europea lavorassero nel mondo dello sport. Il primo dato emerso recita: 1,3 milioni, ossia lo 0,7% degli individui occupati sul territorio. Il 33% dei dipendenti ha un’età compresa tra i 15 e i 19 anni, il 57% di questi è rappresentato dagli uomini. Altro spunto di riflessione offerto da questa indagine deriva dal numero di persone che ha perso il lavoro – sempre in ambito sportivo – durante le prime fasi della pandemia da Covid-19: 54 mila, di queste 52 mila erano donne.
Aggiungiamo un ulteriore tassello. Un sondaggio svolto su scala globale da SportingIntelligence ha comparato la retribuzione di donne e uomini e ne ha calcolato la disparità di reddito: 1 a 101.
Stando poi all’Eurobarometro sullo sport e l’attività fisica, in Europa le donne praticano meno sport rispetto agli uomini: 36% vs 44%. E più l’età aumenta più la partecipazione femminile viene a mancare.
Ma perché succede? Chi ha banalmente pensato che si tratti di una scelta voluta e consapevole è nel torto. Le ragioni che creano tale divario riguardano ostacoli pratici e socio-culturali: mancanza di tempo, cura dei figli, risorse finanziare inferiori a quelle degli uomini e preoccupazioni legate all’autostima e all’influenza di figure fondamentali quali quelle di amici e parenti.
Quanto alla violenza di genere, larga parte degli studi effettuati dimostra quanto le donne siano più soggette degli uomini a molestie e violenze. Una recente ricerca che va a confrontare l’esperienza di atlete e atleti di alto profilo, rileva che in Germania, Belgio e Paesi Bassi il 42% delle donne riferisce di aver subito molestie e di essere stata vittima di violenza sessuale contro il 19% degli uomini che afferma la medesima cosa. Chiariamo subito un punto: nessuno dovrebbe essere soggetto a violenze e molestie, mai, in alcuna circostanza. Detto ciò, nostro malgrado, anche in questa circostanza la forbice è molto ampia.
Più avanti andremo a tirare le somme; ricordiamo che questi numeri servono solo a costruire una base di partenza.
Gender Gap nel mondo dello sport: la relazione della Commissione Europea
“L’uguaglianza di genere è un principio fondamentale dell’Unione europea (UE). Essa è sancita nei trattati e rappresenta un obiettivo che l’Europa sta attivamente tentando di raggiungere, da ultimo attraverso la sua strategia per la parità di genere 2021-2025.
L’obiettivo della strategia è dare a donne, uomini, ragazze e ragazzi, in tutta la loro eterogeneità, la libertà di perseguire il percorso di vita che hanno scelto e pari opportunità di prosperare, partecipare alla società europea e guidarla” questo è quanto si legge in una delle note presenti all’interno della relazione “Verso una maggiore uguaglianza di Genere nello Sport”. Il documento, come avevamo anticipato, indaga diversi aspetti e offre delle soluzioni applicabili nell’immediato futuro per provare a colmare il gender gap nello sport.
Uno dei punti a cui si dà priorità nel testo è l’intersezionalità. Parliamo di una “lente” che consente di analizzare come sistemi di potere interconnessi vadano a influenzare le esperienze individuali e generino disuguaglianze. “Nello sport e nelle organizzazioni sportive – si legge – prevale ancora un carattere bianco, maschile ed eteronormativo; inoltre, le disuguaglianze subite dalle donne nere o dalle atlete e dagli atleti LGBTQ+ sarà compresa in maniera più precisa adottando un approccio intersezionale piuttosto che osservandola con le lenti di una singola identità”.
Inoltre, si evidenzia anche l’urgenza di un intervento concreto sul gender pay gap e sulla disparità nell’attribuzione dei ruoli apicali. A tal proposito: “Tutte le organizzazioni sportive (e le relative parti interessate) devono dedicare parte del proprio bilancio operativo allo sviluppo e all’attuazione di politiche e azioni per la parità di genere. La concessione sostenibile di finanziamenti pubblici è fondamentale per lo sviluppo (e la sostenibilità a lungo termine) di tali politiche”.
Parità di genere: necessaria una strategia nel processo educativo
La relazione non manca di dedicare uno spazio importante all’educazione della strategia volta a colmare il divario tra i generi. Bisognerebbe, stando a quanto sostenuto dalla Commissione Europea: “creare piattaforme di scambio che aiutino a trasmettere messaggi di uguaglianze e che permettendo di mettere in pratica le misure nel modo più adatto.
Per soddisfare tali esigenze, occorre introdurre un’ampia serie di piattaforme, metodi e programmi formativi”. Ricorre il tema della formazione: è durante le fasi della crescita e dell’apprendimento intensivo che determinati concetti vanno conosciuti e approfonditi. Solo così vengono a crearsi fondamenta solide per costruire un futuro più equo e inclusivo.
L’importanza della comunicazione
Un altro elemento da cui non di può e non si dovrebbe prescindere è rappresentato dalla comunicazione. “La comunicazione è parte integrante della strategia per la parità di genere e deve svolgere un ruolo importante”. Se cambia la narrazione, i fatti assumono una forma differente. La Commissione Europea, a tal proposito, raccomanda caldamente la diffusione della relazione, ritenuta un punto di riferimento sia locale sia internazionale.
A proposito di punti di riferimento: “Si consiglia vivamente a tutte le organizzazioni sportive (dalle federazioni internazionali fino alle organizzazioni di base) e agli enti pubblici coinvolti nello sport di nominare coordinatori per l’uguaglianza di genere (CUG), assumendo nuovo personale o formando i membri attuali.
L’obiettivo è garantire che le strategie e i piani d’azione per la parità di genere vengano attuati e monitorati nel modo più efficiente e organizzato possibile da persone dotate delle conoscenze richieste (ovvero una comprensione teorica e pratica degli approcci basati sull’uguaglianza di genere, sull’intersezionalità e sullo sviluppo delle comunità)”.
Dunque un cambio di approccio radicale. Una/un supervisore in grado di dare continuità alle parole e far sì che le best practice auspicate vengano applicate nei fatti.
Quanta strada c’è ancora da fare…
La Commissione Europea, dunque, con questo documento intende essere incisiva. Si pone l’obiettivo di combattere gli stereotipi, di aprire le porte dello sport a tutte e tutti, evitando ogni tipo di discriminazione. Chiaramente l’ostacolo socio-culturale che più sembra destare preoccupazioni riguarda la percezione dello sport come un ambito di prevalenza maschile. A tal proposito, ricorriamo a una citazione della campionessa olimpica Federica Pellegrini: “Lo sport ad alto livello non ostacola assolutamente la femminilità.
Certo non si può andare all’allenamento con i tacchi alti, ma fuori dalla vasca si riesce a dare libero sfogo alla nostra parte femminile”. Il punto è che, se l’associazione donna=tacchi è una delle prime che ci viene somministrata, necessariamente lo sport verrà considerato come un ambito prettamente maschile. La “vasca”, come sostiene Pellegrini, è uno spazio di ameno – sportivamente parlando, è il luogo dell’allenamento e della preparazione, che niente c’entra con l’appartenenza a un determinato genere.
Un esempio di quanto ancora sia lunga la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo “parità” è dato dal calcio femminile nostrano. Il passaggio della Seria A femminile al professionismo, raggiunto solo lo scorso luglio, rappresenta un passo nella direzione giusta, considerate le tutele previste da questo nuovo status. Tuttavia, quanto a visibilità e compensi il gap con i colleghi calciatori è enorme e, con molte probabilità, incolmabile.
Negli ultimi cinquant’anni il mondo è cambiato, così come lo sono le regole che condizionano e costruiscono la società. Tuttavia, è sui retaggi che la marcia fatica a ingranare: siamo ancorati a un passato che limita la crescita e determina le disuguaglianze.
Abbiamo fatto parlare i numeri, adesso, però, si passi ai fatti.