Dal marzo del 2020, da quando milioni di persone in Italia prima e nel resto del mondo poi si sono ritrovate a dover costruire le proprie giornate tra le mura di casa senza poter uscire, l’attenzione verso la salute mentale si è intensificata. Questo perché in molti hanno subito il contraccolpo del lockdown in quanto tale, della mancanza di socializzazione e del terrore dettato da un nemico tanto invisibile quanto micidiale: il Covid-19.
Ciò ha comportato la registrazione di una crescita esponenziale di disturbi del sonno, depressione, ansia e attacchi di panico: stando a un documento pubblicato dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, nel primo anno della pandemia da Covid-19 la prevalenza globale di ansia e depressione è aumentata del 25%. Se ciò non bastasse, a preoccupare ulteriormente medici, psicologi, psichiatri e tecnici della scienza è anche un’altra minaccia per la salute mentale: l’ecoansia.
Nel 2017 l’APA, American Psychological Association, ha definito l’ecoansia come “una paura cronica delle questioni ambientali, con annesso senso di smarrimento e mancanza di speranza”. Il problema, però, è che il “senso di smarrimento” a cui si fa riferimento si traduce in disturbi veri e propri, più che tangibili. Anche in questo caso, si parla depressione, ansia, astenia e, in casi estremi, suicidio.
I fattori che influiscono sulla crescita di tale fenomeno sono molteplici, ma su tutti c’è l’enorme afflusso quotidiano di notizie inerenti alla questione climatica e ambientale che straborda da social, tv, radio, podcast, streaming e così via. In sostanza, siamo in una rete, una gabbia di notizie, il più delle volte angoscianti, sul futuro del pianeta e dell’umanità.
Come in un film
Lo scorso gennaio, Netflix ha rilasciato un titolo che restituisce un’immagine chiara e indiscutibile della gestione delle news e delle informazioni da parte degli utenti: Don’t Look Up. La pellicola, che vede protagonista Leonardo DiCaprio – attivista più che attore -, mette alla prova le verità scientifiche – nel caso specifico si parla dell’imminente fine del mondo – e misura la percezione di chi ascolta: c’è chi accoglie l’informazione e non pensa ad altro, arrivando ad avere difficoltà oggettive; c’è chi grida al complotto e minimizza le informazioni ricevute e, infine, c’è una terra di mezzo. Esattamente ciò che accade lontano dalla macchina da presa.
L’ecoansia si manifesta in tutti coloro che non riescono a concepire una possibile via di uscita: “la crisi climatica sta corrodendo il pianeta e presto non ne resterà più nulla”. Aggiungiamo anche che diversi studi hanno dimostrato che i sintomi più gravi sono estrinsechi laddove gli effetti del cambiamento climatico si sono già abbattuti con forza, come ad esempio: rialzo delle temperature fino a 50°, tsunami imprevisti e incontrollabili, scioglimento accelerato dei ghiacciai.
Chi è stato protagonista di tali disastri ambientali ha dovuto anche magari far fronte alla perdita della propria casa, di una persona cara o entrambi. Ecco perché si è poi arrivati all’incremento di suicidi in determinati territori.
Ad ogni modo, non è solo il caso estremo a preoccupare: ragazze e ragazzi di tutto il mondo, ogni giorno di più, soprattutto attraverso i social network, assorbono le preoccupazioni legate all’ambiente e parliamo di giovani perché ad essere colpiti per la maggiore sono coloro che appartengono alla Generazione Z.
Ecoansia: la salute mentale della Generazione Z rischia di essere messa a dura prova
Partiamo dal presupposto che a rendere vulnerabili le generazioni più giovani non è solo l’ecoansia, ma anche la traballante prospettiva di un inserimento nel mondo del lavoro e la possibilità spesso minata di vivere in una società inclusiva e accogliente.
Ad ogni modo, in questa circostanza, ci focalizziamo sul fattore clima che sembra comunque essere parecchio incisivo. A darne contezza i risultati degli studi effettuati in merito negli ultimi anni. Uno, ad esempio, che risale al 2021 pubblicato su Lancet, ha visto il coinvolgimento di 10 mila persone tra i 16 e i 25 anni, residenti in diversi Paesi del mondo.
L’indagine aveva l’intento di offrire una panoramica generale su come le ragazze e i ragazzi campione vivessero la questione ambientale. Ne è emerso che: il 59% degli intervistati si è detto estremamente preoccupato non solo per la crisi in sé, ma per le conseguenze che già, effettivamente, si stanno manifestando; il 50% ha poi chiarito di provare quel sentimento di rabbia, smarrimento e tristezza di cui abbiamo accennato al primo paragrafo. C’è anche chi ha puntualizzato di provare un estremo senso di colpa, ma questa particolare emozione l’approfondiremo più avanti.
Correlazione tra crisi climatica e fenomeni patologici: lo studio
Un altro studio recente sulla salute mentale, realizzato da un team di esperti ricercatori britannici delle università di Bath, Surrey e Cardiff, ha evidenziato quanto nel biennio 2020-2022 sia diventata sempre più preponderante la corrispondenza tra fenomeni patologici (depressione, ansia, astenia, attacchi di panico) e assorbimento delle informazioni riguardanti la crisi climatica.
L’indagine ha rilevato che, su un campione di 1.338 persone, a soffrire di ansia legata alla questione ambientale sono maggiormente i giovani. Inoltre, è emerso che una bassa percentuale, il 4,6% degli intervistati, ha visto crescere la propria insofferenza verso determinate tematiche durante i due anni di pandemia. Ciò significa che, nonostante i sintomi siano comuni a entrambi i fenomeni, gli individui hanno ben chiara la motivazione per cui spesso colgono un malessere.
Vi sono altre ripercussioni di cui tener conto. Diverse statistiche dimostrano che molti Millenials, in tutto il mondo, decidono di non avere figli perché intimoriti dai cambiamenti climatici. I Boomer, che hanno partecipato a determinate indagini sul tema, pur avendo a cuore il futuro delle prossime generazioni, tendono ad essere meno soggetti a fenomeni che possano intaccare la loro salute mentale.
Ma come si può salvaguardare la salute mentale e combattere l’ecoansia ?
Il primo consiglio è quello di rivolgersi a una figura specializzata che possa aiutare i soggetti più fragili, che manifestano sintomi gravi, a compiere un percorso adeguato. In secondo luogo, è necessario sottolineare quanto un eccesso di attivismo possa essere controproducente. E qui riprendiamo un concetto lasciato in sospeso: il senso di colpa. Spesso, non sentirsi all’altezza delle aspettative e pensare di non aver fatto abbastanza genera un grande sconforto.
Tuttavia, bisogna essere consapevoli della realtà: non è possibile salvare il pianeta da soli. Per cui, se si decide di intraprendere la strada dell’attivismo, lo si deve fare con la convinzione che si tratta di un lavoro condiviso e globale. In tal senso, ricordiamo che anche i piccoli gesti quotidiani contribuiscono: dedicare maggiore attenzione alla raccolta differenziata, evitare sprechi di plastica, acquistare prodotti riciclati e così via.
Per limitare lo stress e salvaguardare la salute mentale, inoltre, gli esperti suggeriscono attività come sport, passeggiate nella natura – per riconciliarsi con il pianeta – e pet therapy che aiutano a produrre energie positive. In ultimo, puntualizziamo che anche filtrare le notizie e prendersi una pausa dai media e dalla tecnologia può essere un ottimo punto di partenza.