Ancora nel 2025 si discute sul ruolo della donna nella società, insistendo spesso sulla dicotomia: donna generatrice e donna lavoratrice, in carriera. Questo può portare ad una rivalità fra donne, come se un ruolo escludesse l’altro.
Sin dai tempi antichi, la donna era venerata per la sua innocenza, pudicizia e purezza. Tuttora viene apprezzata per tali caratteristiche, ma non solo: viene ammirata anche per la propria rigidità e fermezza nelle scelte, nella propria forza e risolutezza.
Ci si dimentica che nella vita reale la donna svolge abitualmente vari ruoli: moglie, madre, lavoratrice e oggi anche caregiver. Ma perché avviene questo? Perché oggi non sono riconosciute e apprezzate le multi-potenzialità delle donne? Soprattutto, perché è inevitabile incasellare in un ruolo ben definito che necessariamente deve escludere l’altro? Il ruolo di “donna generatrice” è un ruolo consolidato da secoli, ma quello di “donna lavoratrice” è accettato solo se finalizzato alla famiglia, ossia se contribuisce al miglioramento del budget economico della famiglia.
Ma quando è altro? Quando semplicemente dall’essere guardata come donna, viene guardata come persona, essere umano con i propri limiti, i propri sbagli e le proprie scelte?
Sin dall’infanzia, le femmine affrontano quello che è il loro destino: subire, sopportare e essere quello che la società e gli altri chiedono. Formate e plasmate dai giudizi e opinioni di una società fondata prevalentemente sull’uomo. Solo nello scorso secolo, le donne hanno raggiunto un traguardo importante, quello di essere libere, libere di essere ciò che vogliono semplicemente. Attualmente molti diritti che le donne hanno ottenuto sono messi in discussione.
Donne contro donne
No, non è solo il genere maschile ad essere ostile contro le donne, ma sono anche le donne stesse. Come nel “bullismo intragenere”, vi sono atteggiamenti di gelosia e competizione verso lo stesso sesso.
Possiamo vedere questa rivalità e/o odio, ad esempio, in alcuni rapporti madre-figlia, rapporto di per sé complesso, come evidenziato da Sigmund Freud nei suoi studi. Nei primi anni la bambina è fortemente dipendente dalla madre, ha un rapporto simbiotico di dipendenza con essa poiché appartenente allo stesso sesso, cerca di specchiarsi nella femminilità della madre come modello, ricercando una propria identità femminile. In seguito, verso l’adolescenza questa dipendenza si rompe, la ragazza cercando la propria indipendenza si distacca dalla madre e questo allontanarsi può portare ad un rapporto di amore-odio.
Ci sono madri che non accettano questa ricerca di indipendenza delle proprie figlie, che genera un senso di abbandono e di inutilità. Molto spesso, capita che durante la fase adolescenziale nella ricerca di indipendenza della figlia, il distacco può essere aggressivo e conflittuale: la figlia idealizza la figura della madre come una figura femminile irraggiungibile e distante; oppure durante l’allontanamento della figlia dalla propria madre entrano in gioco emozioni come la rabbia poiché la madre vede allontanare da sé la figlia o per incomprensioni tra le due.
Che ruolo hanno le donne in altri ambiti?
Oggi si parla di “Sindrome dell’ape regina“. Ma cosa vuol dire?
Tale definizione viene presa proprio dall’osservazione delle api nell’alveare: l’ape regina ha il ruolo più importante all’interno, è una figura dominante, l’unica che può generare e mandare avanti l’alveare. Le altre api hanno un ruolo servile, svolgono compiti per la regina. Questo ruolo è spesso rivestito da alcune donne, in ambito lavorativo, che occupano posizioni di potere assoluto subordinando altre donne e assumendo atteggiamenti competitivi con esse.
La “donna in carriera”, ossia una donna che attraverso il lavoro afferma la sua identità, è un ruolo che ancora è difficilmente accettato dalla società. Ciò spiega perché in molti casi le donne non sono preparate ad affrontare questo ruolo. E in mancanza di modelli femminili di riferimento, imitano modelli maschili, spesso i peggiori, che non prevedono il rispetto, la collaborazione con altre donne. Questo genera un disagio, un conflitto, “quell’essere donne contro donne” che spesso è presente nell’ambiente lavorativo.
Ma questo odio e competitività tra le donne è uguale anche tra gli uomini? La competitività esiste in entrambi i sessi, ma nelle donne vi sono motivazioni più profonde. Negli uomini la competitività esiste, ad esempio, in ambito lavorativo per un progetto o un posto di lavoro, nello sport, nel gioco, ma la motivazione non è dovuta ad una continua ricerca di compiacimento femminile, se non in determinati casi in ambito sentimentale; nelle donne la competitività avviene in questi ambiti ma, come citato sopra, se il contesto lavorativo è prevalentemente maschile la ragione di tale odio fra lo stesso sesso è diversa.
Le cause possono essere varie ma quasi sempre legate allo stesso motivo: il punto di vista dell’uomo. Soprattutto in ambito sentimentale tale rivalità è molto presente, discriminando, enfatizzando e marcando quella diversità, quelle caratteristiche maggiormente fisiche, presenti in ogni donna, prevaricando così su quest’ultima.
Dietro a comportamenti di manipolazione e aggressività repressa c’è un sentimento di paura e complesso di inferiorità. Predomina, inoltre, l’invidia, quel confronto tra me e l’altra, quel compiacimento delle disgrazie altrui (Schadenfreude, dal tedesco e “ἐπιχαιρεκακία” “epicaracia” dal greco), annullando così quella competenza emotiva che è l’empatia.
Dall’invidia può derivare la bassa autostima, che nasce da quegli standard irrealistici di perfezione estetica imposti dalla società. Possiamo notarlo attualmente nelle piattaforme social come Instagram e TikTok dove si amplifica il confronto sociale, dove aumenta quella falsa credenza di perfezione di bellezza, illusoria data da filtri o ritocchi di chirurgia estetica. Questo porta una donna a sentirsi esclusa rispetto ad un’altra, la quale rientra in alcune di quelle caratteristiche estetiche, per natura o per altri mezzi.
Tutto ciò provoca ad un senso di inadeguatezza, insicurezza, invidia. D’altronde in una società attuale dove viene apprezzata più la bellezza della cultura, porta ad un’ignoranza di fondo anche verso il culto della bellezza stessa, nella sua varietà e “imperfezione”.
Come evitare che ciò accada?
Iniziare a riconoscere tali dinamiche, incentivare e incoraggiare la collaborazione e solidarietà femminile.
Nei luoghi di lavoro, offrire più opportunità di posti di leadership favorendo egualmente entrambi i sessi; fornire e istituire programmi di mentoring, una pratica formativa finalizzata a dare supporto di crescita professionale alle persone, ma in questo caso per le donne; cercare di promuovere una cultura aziendale che valorizzi la diversità anche di genere.
Istituire associazioni come “Donnexstrada”, fondata da Laura De Delictis, per aiutare ed assistere le donne in caso di violenza. Questa associazione si occupa di proteggere e supportare quelle donne che temono di subire aggressioni nel ritornare a casa, promuovendo una sicurezza di strada tramite i “punti viola”. Questi sono luoghi sicuri, esercizi commerciali pubblici, di riferimento che servono a fornire supporto e strumenti per le donne che in quel momento si trovano in difficoltà.
Negli spazi come gruppi di discussione e luoghi di comunità, si deve iniziare a parlare di “Empowerment femminile”, ossia “potenziamento di sé”. Rafforzare la propria autostima, le proprie competenze e la fiducia in se stesse, schiacciando quell’occhio stereotipato che circonda le donne nella società.
Accettare la diversità ed essere consapevoli che nessuna è migliore di un’altra, rompere quel dogma di “occhio oggettivo”, il quale crea solo una inutile insoddisfazione personale e frustrazione.
Citando Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista italiano, in un’intervista di Luca Mazzucchelli, “siamo animali sociali” e “[…] abbiamo bisogno degli altri per sapere chi siamo”. Ognuno di noi possiede qualità diverse da un altro e ognuno di noi è utile all’altro, questo crea solidarietà e forza nel genere femminile e umano. Accettare le proprie diversità, qualità di noi stessi e dell’altro, è il primo passo.
@copyright Foto di Matilde Carducci scattate per risorse.news.