Nelle ultime settimane è stato pubblicato uno studio dell’ECR Party dal titolo “Balancing Ambition and Reality. A Sober Examination of Challenges in the EU’s Green Transition”. Questa ricerca si pone lo scopo di riportare il dibattito sulla transizione verde all’interno di un percorso realistico e oggettivo, in ogni caso basato sui fatti e sulla realtà politica, economica e industriale dell’Unione Europea.
Un percorso questo che non può in nessun caso prescindere anche dagli interessi del settore agricolo e dalle aspettative dei tanti agricoltori che formano il tessuto economico dell’UE. La “sobrietà” dell’analisi richiesta dallo studio è proprio quello che serve per affrontare i tanti problemi che da decenni questo settore si trascina.
Gli agricoltori come custodi
Quello che deve finalmente entrare all’interno delle cancellerie e delle Istituzioni europee, è il concetto che i veri custodi del nostro ambiente e della sovranità alimentare non sono i politici o i legislatori, bensì gli agricoltori dell’Unione Europea. Più di altri settori è proprio l’agricoltura il pilastro su cui fondare la futura sovranità alimentare europea, al riparo dalle crisi climatiche e dalle fluttuazioni dei mercati internazionali. Purtroppo tra i nemici di questo onorevole obiettivo sembrerebbe stagliarsi proprio il “Green Deal” europeo, che potrebbe prendere di mira proprio il settore agricolo.
Si nega il ruolo fondamentale degli agricoltori nella conservazione del territorio, nel garantire la qualità nelle produzioni e nel valorizzare cultura e tradizioni nelle aree rurali. Portando avanti il concetto, purtroppo fin troppo radicato in passato nelle Istituzioni Europee, degli agricoltori visti come un problema. La speranza invece è che questo paradigma si ribalti, con la consapevolezza di avere davanti delle grandi risorse nella lotta alla crisi climatica.
Il legame con la terra deve essere confermato e valorizzato assieme all’agricoltura, poiché tutelare le eccellenze e le produzioni porta necessariamente all’accrescimento del patrimonio culturale e al presidio dei territori, tutte funzioni queste che le politiche dell’Unione Europea devono essere pronte a valorizzare e non ad affossare.
Una politica agricola comune da rivedere
In prima battuta, se si vuole veramente riformare il settore, bisogna avere il coraggio di mettere le mani sulla Politica Agricola Comune (la PAC), con l’intento di rimuovere tutte quelle norme che puntano alla riduzione graduale delle superfici coltivabili. Questo infatti incide direttamente sul reddito degli agricoltori stessi.
Allo stesso tempo gli Stati membri devono essere messi nella condizione di poter incidere sulle politiche agricole, ad esempio aumentando il limite previsto dall’Unione Europea per gli aiuti di Stato al settore, oltre ad introdurre una moratoria sui debiti che dia respiro agli agricoltori.
Allo stesso tempo, sempre nello stesso ordine di idee, è necessario rivedere la norma detta del “Ripristino della natura” che prevede, come obiettivo generale, che gli Stati membri adottino misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri dell’UE. Una revisione di questo obiettivo è necessaria per evitare di penalizzare ulteriormente l’agricoltura e l’allevamento.
Sintetico non è naturale
Un punto cruciale è la protezione del concetto di naturale, come scudo all’introduzione del “sintetico” nelle produzioni e nell’alimentazione dei cittadini dell’Unione Europea. Quella contro la produzione e la commercializzazione di cibi sintetici, soprattutto per quanto riguarda le carni, è una battaglia che deve essere proseguita.
Con essa però, e l’obiettivo è che queste due lotte proseguano all’unisono, devono essere migliorate e allargate le discipline sul benessere animale, soprattutto per quanto riguarda gli allevamenti.
Etichette e reciprocità dei mercati
Un forte stop va invece dato a tutte quelle normative che, in un modo o nell’atro, penalizzino le eccellenze della nostra agricoltura. L’esempio più concreto è il “Nutriscore” e l’adozione obbligatoria dei sistemi di etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari. Tra i casi più eclatanti resta quello riguardante il settore vinicolo, con la volontà che vengano etichettate le bottiglie con l’indicazione che il solo consumo dei prodotti della filiera sia nocivo per la salute.
Un’aberrazione che non può essere accettata, soprattutto in un comparto che ogni anno incide così fortemente sulle economie degli Stati membri e che dà lavoro a tantissimi professionisti in tutta l’Unione Europea. Infine sempre sul fronte delle norme serve che venga attuato un principio semplice e importantissimo: quello di reciprocità. L’apertura del nostro mercato interno a produzioni che non provengono dai Paesi membri può essere accettata, ma soltanto se queste rispettano gli standard sociali e ambientali che vengono richiesti ai nostri produttori.
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