Automotive: a rischio lavoratori del settore, il 12% delle aziende apre a nuovi mercati

Non è un buon momento per il settore dell’automotive, soprattutto in Europea. Da inizio settembre si sono inanellate una serie di notizie inerenti a questa sezione di mercato che non fanno guardare con ottimismo al futuro. In primo luogo la conferma che Volkswagen intende chiudere tre stabilimenti in Germania e che asserisce di voler tagliare di almeno il 10% degli stipendi di tutti i dipendenti. 

La questione è in effetti condivisa anche da Stellantis. L’Ad, Carlos Tavares, ha recentemente rimarcato, durante un’audizione alla Camera, di voler tenere in piedi gli impianti in Italia, nonostante la crisi, e di non volerli vendere. Tuttavia, Tavares ha anche rilevato che servono maggiori incentivi, soprattutto per quel che riguarda l’elettrico. 

Infine, una novità condivisa dall’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana dell’Anfia e della Camera di Commercio di Torino che riguarda le aziende del comparto: stando ai dati diffusi, il 12% di queste starebbe valutando l’idea di abbandonare il settore. 

La situazione in Volkswagen

Daniela Cavallo, presidente del consiglio di fabbrica della Volkswagen, durante un incontro, dello scorso 27 ottobre, con alcuni lavoratori ha riferito: “chiuderanno tre stabilimenti in Germania e verrà decurtato lo stipendio di tutti i dipendenti almeno del 10 per cento”. La qual cosa si traduce nella perdita oggettiva di 15 mila posti di lavoro. 

Non è più dunque una crisi passeggera quella che sta vivendo il colosso tedesco; il passaggio all’alimentazione elettrica ha in effetti piegato il fatturato e messo in crisi probabilmente il settore intero. Basta guardare ai dati europei di settembre per capire che la questione si estende a tutti i gruppi e case automobilistiche. 

Ad ogni modo, c’è anche un altro fattore che ha portato alla decisione estrema: il calo delle vendite in Cina. Quello orientale era infatti un canale fondamentale per l’azienda tedesca; ma i competitor hanno reso vano ogni sforzo di risultare efficaci in termini di vendite e appeal. 

Automotive: l’elettrico colpisce anche il fatturato di Stellantis

Come si diceva, tutto il mercato europeo vive un periodo complicato. E quello dell’elettrico è senza dubbio uno dei temi più dibattuti. Anche Carlos Tavares, ad di Stellantis, ha chiarito che gli automobilisti italiani sarebbero disposti ad acquistare un veicolo elettrico, purché i costi siano vicini a quelli delle vetture con un’alimentazione canonica. L’audizione convocata alla Camera doveva in effetti fare luce sul contesto in cui si muovono i vertici del settore e sui risultati non propriamente brillanti. 

Tavares, di fronte a una platea pungolante, ha spiegato che dal proprio punto di vista il quid non è il raggiungimento degli obiettivi europei (richiamando al Green Deal), quanto i costi di cui le aziende oggetto del dibattito devono sostenere. In tal senso l’ad di Stellantis ha riferito: “Abbiamo un piano preciso che ho condiviso con i nostri partner, abbiamo assegnato nuovi prodotti a tutti gli stabilimenti italiani fino al 2030, in alcuni casi al 2033. Ma non basta. 

Il problema sono i costi troppo alti in Italia, il 40% più alti di quelli che devono sostenere i nostri concorrenti […] paghiamo il doppio della Spagna, non so perché. Un grandissimo svantaggio perché non consente di difendere i margini. Produrre veicoli che non possono essere acquistati dalla classe media perché costano troppo è inutile”.

Il lungo dibattimento ha visto opposizioni e sindacati insoddisfatti, tanto da ritenere la questione ancora aperta e non risolta. 

Le aziende vogliono lasciare il settore

Come si è visto sono diversi gli approcci: tagli, resilienza, rilancio e totale inversione di marcia. Il riferimento è precisamente ai dati diffusi dall’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana dell’Anfia e della Camera di Commercio di Torino. Dall’indagine viene fuori che “di fronte alla scadenza europea del 2035, il 34% delle imprese modifica il proprio modello di business puntando a mercati extra UE, orientando i prodotti verso l’elettrico o l’idrogeno, ma anche valutando l’uscita dal settore automotive per aprirsi ad altri settori (il 12%)”.

Il documento restituisce quanto rilevato in percentuali (dati buoni e dati meno buoni, clicca qui), ma ciò che salta all’occhio è che “le imprese si sono espresse con una visione marcatamente pessimistica. Il 2024 viene atteso, infatti, come anno di arretramento per tutti i vari indicatori economici, a partire dal fatturato che vede appena il 23% degli operatori dichiarare una crescita e il 55% una diminuzione, con un saldo del -32%.

La maggiore debolezza viene avvertita soprattutto per gli ordinativi interni (previsioni di contrazione per il 57% delle imprese e saldo tra attese di aumento e riduzione del -40%), ma anche sui mercati esteri (riduzione degli ordinativi esteri per il 50% degli operatori e saldo del -30%)”, questo è quanto si legge nell’indagine. 

Poi ancora: “per un’impresa su tre è prevista una contrazione dell’occupazione, ma il quadro negativo si evidenzia anche per gli investimenti fissi lordi, per i quali il saldo tra prospettive di crescita e di decremento risulta pari al -19%. Attese sfavorevoli riguardano tutte le categorie di operatori, tranne il cluster degli specialisti dell’aftermarket”.

Gioca una parte importante in questa nuova era dell’automotive anche il fattore geopolitico; le incertezze a livello internazionale non influiscono positivamente sui piani per il futuro, tutt’altro.

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