Violenze verbali e fisiche. Ma anche episodi di catcalling, come avances, commenti volgari, apprezzamenti non desiderati e molestie di varia natura. Le studentesse universitarie denunciano con forza quegli abusi che si sono consumati o perpetrati all’interno o nei pressi delle loro facoltà. Da nord a sud le voci si moltiplicano. Non si parla di casi isolati, bensì di un problema sistemico che interessa ogni ambito, anche i luoghi della cultura e del sapere. Le Università, insomma, non sono sicure.
All’Università La Sapienza un’indagine delle studentesse rivela 20 abusi sessuali e 160 molestie
A Roma, ad esempio, sono stati registrati 20 abusi sessuali e più di 160 molestie all’interno dell’Università La Sapienza. A rivelarlo è un’indagine sulla sicurezza e sull’inclusività in ateneo, che laureande e laureandi hanno presentato lo scorso 12 marzo, presso la Facoltà di Giurisprudenza, alla presenza di rappresentanti delle istituzioni, della Regione Lazio, del Comune di Roma, del mondo accademico e di quello dell’informazione.
I tristi numeri sono il risultato di 1.318 risposte ad un sondaggio. Stando al report, il 15,6% degli intervistati dichiara di aver subito almeno una molestia, mentre il 5% una violenza all’interno della più grande Università d’Europa. Ad acuire il fenomeno ci pensa altresì un altro dato: nel 40% dei casi a compiere l’atto violento è un professore. Il 30% del campione femminile, poi, ammette di non sentirsi al sicuro all’interno dell’università, a tal punto che 3 ragazze su 5 confidano di essersi fatte accompagnare a casa almeno una volta dopo le lezioni.
Guarda l’intervista integrale a Silvia Mariottini
“L’indagine è un punto di inizio”
L’indagine, come riportato nel documento presentato, ha coinvolto studentesse e studentƏ delle 11 facoltà de La Sapienza ed è partita a novembre a seguito dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la laureanda in ingegneria biomedica uccisa dal suo ex fidanzato . “Ci teniamo a sottolineare che l’indagine è stata svolta dalla nostra associazione, utilizzando i canali che sono a nostra disposizione – racconta a risorse.news Silvia Mariottini, una delle giovani donne che martedì scorso ha illustrato le soluzioni per una Università più sicura ed inclusiva -. Certo, se venisse svolta dall’Ateneo acquisirebbe un valore più istituzionale. Il nostro è un punto di inizio di un percorso che, come abbiamo ribadito dinanzi alla platea, da una parte vuole decostruire una certa mentalità, mentre dall’altra ambisce ad un’evoluzione in un determinato senso. L’auspicio è quello di proseguire con una nuova indagine che, magari, riesca ad arrivare a tutti”.
Le 3 proposte delle studentesse
Non solo numeri. Dall’Aula Calasso della facoltà di Giurisprudenza arrivano anche delle indicazioni per provare a risolvere il problema. “Le proposte – come affermato dalla studentessa – sono stati divise in tre categorie: la prima riguarda spazi sicuri; la seconda invece la formazione didattica; la terza infine l’abbiamo intitolata università queer e tratta quell’aspetto legato alle soggettività che non si identificano in un genere femminile, maschile, ma non binario, e che subiscono la maggiore discriminazione”.
Il primo punto: gli spazi sicuri
Per quanto riguarda il primo punto, gli spazi sicuri, i protagonisti hanno fatto luce su due aspetti di assoluta rilevanza: i centri antiviolenza in ateneo e la consulente di fiducia. “Riconosciamo i passi in avanti compiuti dall’Università – ammette Silvia Mariottini -, il problema è che pochissime persone, tra cui la sottoscritta prima dell’indagine, non sapevano della loro esistenza”.
Oltre ad un problema di informazione e sensibilizzazione, ci sono pure altre criticità da risolvere, come il fatto che la consigliera è una professionista esterna, e quindi non è a completa disposizione dell’Università, e che il centro antiviolenza è uno solo, a fronte di un ateneo che si sviluppa in diversi punti della Capitale.
“Il centro antiviolenza – continua Mariottini – è solamente in una sede che, oltretutto, non è nemmeno la Città universitaria, ma è ubicato nel quartiere di San Lorenzo. Chiaramente, una proposta si riferisce al fatto di aumentare il numero di centri antiviolenza. Come minimo ne servono 3, di cui uno nella Città universitaria ed un altro al Policlinico, in modo da coprire pure il polo medico ed aiutare le studentesse che devono svolgere i tirocini. Per quanto concerne i centri antiviolenza, poi, chiediamo il loro inserimento nel circuito D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza, n.d.r.). Tenere fuori da questa rete il centro antiviolenza dell’ateneo è penalizzante. Inoltre, sarebbe una buona proposta far partecipare le laureande all’organizzazione dello stesso centro”.
Il secondo ed il terzo punto
Sulla formazione, invece, la proposta avanzata dalle studentesse dell’Università La Sapienza verte sulla necessità di coinvolgere altresì i docenti e tutto il personale che lavora all’interno delle varie facoltà. “A partire dal linguaggio, dall’utilizzo delle giuste parole”, precisa Silvia Mariottini, indicando con fermezza il primo punto che dovrà essere affrontato in quest’ottica di educazione, sensibilizzazione e cultura del rispetto.
Infine, Sapienza queer, il terzo punto che sfocia in diversi ambiti. Dalla formazione alla sensibilizzazione, passando per le esigenze di chi è gender neutral ed altri argomenti delicati che dovranno essere esaminati dall’Università.
La palla passa alle istituzioni
All’incontro non era presente la Rettrice, la Professoressa Antonella Polimeni, ma la Professoressa Giuliana Scognamiglio del dipartimento di Scienze giuridiche e figura molto sensibile alle tematiche trattate. La presentazione del 12 marzo ha fatto breccia. Le studentesse sono soddisfatte; adesso aspettano che le istituzioni, dopo aver ascoltato attentamente, si facciano carico delle loro proposte nelle sedi più opportune. “Erano presenti rappresentanti e funzionari della Regione, del Comune e della comunità LGBTQIA+ – aggiunge Silvia Mariottini -. Con loro abbiamo affrontato anche il tema delle strade sicure”.
Nel prossimo futuro seguiranno altre iniziative. Del resto, la presentazione dell’indagine sulla sicurezza e l’inclusività in ateneo ha rappresentato soltanto un punto di partenza. Non è neppure escluso che le istanze vengano presentate altresì al Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini.
“Una battaglia per pareggiare la situazione”
Chiamatelo pure #MeToo universitario. Di sicuro, con le loro azioni, con le loro indagini, con le loro proposte e pretese, le giovani donne combattono per i loro diritti, per annullare il gender gap ed ogni forma di violenza. “A volte sembra che su questa battaglia si stia urlando e ci si stia impegnando per ottenere qualcosa in più, quando in realtà si sta cercando solo di pareggiare la situazione – conclude Silvia Mariottini con una voce che trasmette tutta la sua passione e la sua energia per migliorare la società -. Oltre alle proposte, siamo in una fase in cui bisogna cambiare la mentalità delle persone. Poi, servono i fatti, ma io sarei già soddisfatta se tutti riuscissero a parlare la stessa lingua”.
Silvia, insieme alle sue colleghe e alle sue coetanee, è una giovane donna che si impegna ogni giorno per migliorare il mondo in cui viviamo. Ogni sua parola, ogni sua frase, ogni suo sforzo ed ogni sua energia è spesa per la costruzione di un mondo più inclusivo, tollerante, sicuro ed aperto. Non solo all’interno dell’Università.