A seconda della stazza e della potenza, un trattore può percorrere dai 5 ai 14 km con un litro di carburante e può avanzare ad una velocità massima compresa tra i 25 e i 60 km/h. Nelle lunghe distanze ciò si traduce in svariate centinaia di euro, se non migliaia, in solo carburante e molte ore, se non addirittura giorni, alla guida. Basterebbero questi semplici dati per capire quanto la protesta sia stata sentita e voluta dai lavoratori del comparto agricolo e agroalimentare di diversi Paesi europei che il primo febbraio si sono riversati in massa, spesso con famiglie e amici al seguito, nei pressi del Parlamento Europeo a Bruxelles.
Erano più di 1300 i trattori, e decine di migliaia le persone. Certo, per ovvie ragioni geografiche, provenivano per lo più dalle campagne del Belgio e della Francia del nord, ma sono stati numerosi anche i trattori provenienti da aree ben più lontane come le campagne del centro e del sud di Germania e Francia e, persino, dall’Italia.
Elementi che aiutano a comprendere la rabbia e la determinazione dei lavoratori protagonisti della protesta; una determinazione che li ha portati a concentrarsi in migliaia davanti il luogo simbolo della politica europea e ad occupare interamente la bellissima Piazza di Lussemburgo e le strade adiacenti.
Perché la protesta dei lavoratori agricoli a Bruxelles
L’obiettivo era far sentire la propria voce. I lavoratori scesi in piazza hanno inteso ribadire di non essere più disposti ad essere ignorati da una politica additata come sorda.
Intendiamoci, la soluzione politica non è di certo semplice da trovare e, probabilmente, sarebbe fin troppo ingeneroso il far ricadere l’intera colpa degli evidenti problemi di cui il comparto agricolo e agroalimentare soffre sulla sola classe politica europea. Le scelte fatte a Bruxelles e che hanno toccato chiaramente con forza il settore agricolo sono forse state dettate, in larga parte, da complessi problemi geopolitici globali e dalle criticità climatiche che la politica europea sta ultimamente cercando, più o meno timidamente, di contrastare.
È certamente un lavoro non facile quello che si propone di trovare il giusto equilibrio tra la salvaguardia del clima e del libero mercato con le esigenze, non poche che per sua natura ha il settore agricolo nel suo complesso e, di certo, solo più avanti si potrà dire se e in che misura gli equilibri fino a qui ideati siano stati giusti ed efficaci.
Ma, d’altra parte, sarebbe anche errato pensare che quegli agricoltori si sono riuniti in massa davanti alle istituzioni europee accusando la politica di essere causa unica dei problemi.
Come si è svolta la protesta: il racconto della giornata
E’ stato possibile camminare per chilometri tra le interminabili file di mezzi agricoli, di ogni stazza e di ogni genere, posizionati per le strade e sulle piazze. E, contrariamente a quanto si potrebbe intuire dalle sole immagini trasmesse dai media, l’aria che si respirava non era un’aria di puro scontro, verbale o fisico.
Al contrario, si potrebbe descrivere così: discussioni più o meno accese tra i manifestanti (che di certo non sono un blocco monolitico di opinioni unanimi) e, certamente, anche di diverbio con le forze dell’ordine. Il tutto scandito da quell’unico comune denominatore che non può che essere alla base di proteste come questa: creare disordine e attirare l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica e, conseguentemente, della classe politica.
Numerosi inoltre gli impianti stereo disseminati per le strade e le piazze occupate che hanno diffuso musica di volta in volta sopraffatta dall’esplosione di petardi e dal ruggito dei potenti clacson dei trattori. Atmosfera, questa, accompagnata dalle grigliate che, tra i negozi e le fermate degli autobus, si sono protratte per l’intera giornata.
Questa è la situazione che ha fatto da sfondo allo scontro, anche violento. Subbuglio che è consistito principalmente nel lancio, contro i palazzi cuore della politica europea e contro le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, di uova, petardi e oggetti di ogni genere fino anche a sampietrini liberati dai pali sradicati dal suolo.
Al contempo, in alcuni punti di Piazza di Lussemburgo, continuavano a bruciare le balle di fieno e gli ammassi di pneumatici e legname appositamente posizionati, come anche cassonetti dell’immondizia. Fiamme appiccate, questo va detto, in modo relativamente calcolato e lontano da palazzi e negozi, in modo da impedire che potessero degenerare.
Tra queste, oltre a legno e fieno, è finita anche una delle statue in bronzo del diciannovesimo secolo che adornano Piazza di Lussemburgo e che, per ovvie ragioni, è adesso sottoposta a restauro.
L’aspetto animoso è quindi stato presente e, con taluni picchi, è stato indubbiamente caratterizzante della manifestazione. Ma, a ben guardare, non si può definire l’aspetto principale o il più rilevante.
Al contrario, la manifestazione ha centrato il proprio obiettivo più alto ed in linea con i principi democratici che dominano la cultura occidentale. Ne è una prova evidente il fatto che i media pongono, oggi e grazie a manifestazioni come questa, la questione delle politiche che toccano il settore agricolo in primo piano.
Solo il tempo dirà se ed in che misura manifestazioni come quella del primo febbraio avranno successo e se le classi politiche europee saranno in grado di trovare risposte che si riveleranno efficaci o soddisfacenti per i lavoratori del settore.
Ma certo è che questa manifestazione non può essere definita come un evento unico e a sé stante ma, piuttosto, come uno dei tanti grandi appuntamenti; un anello che antecede i simili raduni già messi in atto in Francia e Germania e che, con tutta probabilità, sarà il precedente di chissà quanti altri raduni in giro per l’Europa. Evidente è che anche in Italia la situazione si stia scaldando e che non possa più esser ritenuto improbabile che, nelle prossime settimane, la protesta arrivi nel Bel Paese.
di Lorenzo Genna,
Volontario del Servizio Civile OPES all’estero (Bruxelles)