Un mondo, quello dell’artigianato made in Italy, che va (ri)scoperto, amato e sostenuto per le verità che si porta dietro. Lo suggerisce, anzi, lo chiede a gran voce Dante Mortet, scultore, cesellatore ed erede di un antico “sapere artigiano”, ospite della quinta edizione del Gala dello Sport di OPES. Quinta è anche la generazione del “pensare artigiano” della sua famiglia. Una tradizione destinata a perpetuarsi, perché “mio figlio, come sembra, continuerà”. Mano Artigiana, il luogo dove tutto nasce, vive e ramifica nel cuore di Roma.
Mortet è autore di opere che hanno fatto, letteralmente, il giro del mondo e che hanno potuto immortalare storie incredibili. Dalle mani e i piedi di O Rey Pelè (esposte nel foyer dello Stadio Olimpico durante la charity dinner di OPES), a quelle eterne di Ennio Morricone, passando per quelle iconiche di Robert De Niro. La mano in cera viene modellata per armonizzare le forme e renderla, di fatto, una scultura. A questo punto, racconta Mortet, si trasforma il soggetto da cera in bronzo, attraverso l’antica tecnica della fusione in cera perduta. Si cesella, si patina. E il gioco è fatto: il momento resta per sempre, le emozioni si incastonano nelle venature, nei solchi e nelle sfumature. Nulla di più suggestivo.
“Sono qui a mostrare il mio progetto che riguarda arte e sport dove cerco di realizzare sculture di strumenti, quelli per cui poi gli sportivi diventano famosi, e diventano motivo di orgoglio nel nostro Paese e non, quindi le mani e i piedi di atleti, che diventano un’opera d’arte”, ha raccontato Mortet a noi di risorse.news durante la kermesse dello scorso 19 dicembre.
Ci ha anche riferito di come questa attività di bottega debba essere preservata. “Siamo nel centro di Roma da cinque generazioni e cerchiamo di sposare un mestiere difficile, però di grande soddisfazione. Invito i giovani a cercare nell’artigianato una risposta alle loro esigenze cercando di comprendere qualcosa che ha fatto grande il nostro Paese”, una grandezza che non può essere attribuita al genio “sarebbe presuntuoso”, ma al frutto della tradizione di botteghe di artigiani del “‘300, ‘400 e ‘500 fino agli anni ‘80, che hanno fatto sì che questo Paese costruisse, attraverso l’artigianato, delle economie concrete e sostenibili”.
Allora, Mortet esorta i giovani a intraprendere questo mestiere e a farlo in chiave contemporanea “perché l’artigiano trasforma la materia e ciò che vede intorno a lui a seconda dell’epoca e utilizzando gli strumenti che ha”.
Il rapporto con il digitale
Gli abbiamo chiesto anche che rapporto avesse con le nuove tecnologie, con lo strumento digitale. E Mortet non ha avuto dubbi: “Io utilizzo le tecniche antiche, ma ci sono delle tecnologie che cerchiamo di usare”, ma attenzione perché, e qui l’artista lo sottolinea senza mezze misure, “usare, piuttosto che farsi usare, non rendersi schiavi. Bisogna saper fare le cose come si facevano un tempo, poi laddove la tecnologia ci viene incontro… perché no!”.
E poi arrivano i social. “Li abbiamo i social, li utilizziamo. Ma non c’è più social che il proprio fare. Nel senso che poi il fare reale fa sì che le persone ti cercano, ti trovano e se pure siamo nell’antico Palazzo della Scimmia di Roma, riceviamo quotidianamente persone che vengono a cercare soprattutto dall’estero il nostro fare”.
Tutto questo perché l’artigianato, mettendo da parte per un secondo il mondo digitale e il nuovo che avanza nella comunicazione, porta con sé dei valori. “Cercate nelle botteghe quei valori perduti, ma sinceri, concreti e di verità. In questo momento, poi, una parola importante”.
Mortet e l’artigianato italiano fuori dai confini…
L’Italia, che resta il punto di riferimento, non è il solo luogo in cui Dante Mortet e la sua famiglia operano, anzi. A Miami, per esempio, “stiamo costruendo una strada di mani famose”. Tra le tappe del suo lungo viaggio artistico anche il Colorado, dove ha incontrato e immortalato le mani di Quentin Tarantino.
Ma la strada è lunga, le storie da raccontare molte e le mani da modellare di più…