– L’hai visto anche tu?
– Sì, e tu?
– Non ancora, risponde una terza persona.
– Nemmeno io, si aggiunge un’altra al dialogo.
E’ una conversazione ricorrente in questi giorni tra colleghi, amici e parenti. Ci si morde la lingua per non parlarne, ma l’intesa da parte di chi il film “C’è ancora domani” l’ha già visto nel non volerne rivelare la trama, e anzi a spronare chi non l’abbia ancora fatto ad andare al cinema, è un’esigenza spontanea.
Un film che viene proposto anche nelle scuole come uscita culturale per gli studenti.
Da vedere o da rivedere, in questo caso con maggiore consapevolezza, avendo l’occasione per cogliere sfumature che potrebbero essere sfuggite ad una prima visione.
Un film campione d’incassi
L’opera prima di Paola Cortellesi, dal 26 ottobre nelle sale cinematografiche italiane, è ancora oggi in vetta alla classifica dei film più visti del Box Office Italia. Scritto dalla stessa Cortellesi con Giulia Calenda e Furio Andreotti, “C’è ancora domani” la vede arrivare nelle sale al suo debutto come regista oltre che interprete nel ruolo della protagonista.
Al suo fianco Valerio Mastrandrea, nei panni del marito Ivano, Emanuela Fanelli, l’amica Marisa, Romana Maggiore Vergano nel ruolo della figlia Marcella e Vinicio Marchioni, il meccanico Nino, Giorgio Colangeli il Sor’ Ottorino, il suocero.
Il film ha ottenuto il premio speciale della giuria e una menzione speciale come miglior opera prima alla 18ª edizione della Festa del Cinema di Roma, nella categoria “Progressive Cinema – Visioni per il mondo di domani”.
Il dramma e la gentilezza di “C’è ancora domani”
Mescolando sapientemente commedia e dramma, la scelta stilistica del bianco e nero e una fotografia semplice ma efficace, riportano lo spettatore in una Roma del secondo dopoguerra, in una Italia da riscostruire, quando gli americani regalavano la cioccolata e le donne facevano la file per il razionamento alimentare. Anche la scelta delle musiche gioca una parte importante, accompagnando con suoni e parole la costruzione della narrazione.
La protagonista, Delia, rappresenta le nostre mamme o le nostre nonne, troppo spesso passate inosservate nella storia della ricostruzione di un’Italia devastata, che hanno contribuito silenziosamente al rilancio, non solo economico, del nostro Paese.
Scoccate come frecce una dopo l’altra, con tanta precisione quanta delicatezza, di quelle che vanno dritte al cuore e alla sensibilità di chi è immerso nella visione, le tematiche affrontate, che dovrebbero far parte di tempi lontani, in primis le scene di violenza “danzate e musicate”, si rivelano drammaticamente attuali.
Un marito padre-padrone, violento, al quale mettere il profumo “per andare a donnacce” pur di levarselo dalle scatole per qualche ora, due figli da istruire ma non da educare, ai quali tutto è concesso “perché maschi” e una figlia da “dare in sposa” per elevare il lignaggio familiare: Delia porta avanti con sacrificio e dedizione la gestione della casa e della famiglia.
Si dà un gran da fare per racimolare qualche soldo in più, tra lavori e servizi, dal riparare gli ombrelli ai rammendi, da massaia a infermiera (chissà quante iniezioni avranno fatto le nostre bisnonne ai soldati da curare!), non prima di aver assolto però ai suoi doveri di madre e di moglie, con un suocero, scorbutico e chiassoso dal quale il marito ha preso esempio, cui è tenuta a badare.
Un film per le donne di ieri e di oggi
E il ricordo romantico di un amore non vissuto.
Con mestizia e rassegnazione, atteggiamenti che la figlia Marcella non perde occasione di disprezzare, la crescita del personaggio, di Delia, che si prende anche le botte al posto suo, avverrà per l’amore che ella nutre proprio verso lei, per poterle garantire un futuro migliore.
Le punte delle frecce lanciate da Paola Cortellesi sono intrise di parità di genere, di divario retributivo di genere, di patriarcato, di violenza domestica, vissuta come un’abitudine anche da chi assiste (da una stanza della casa o dal di fuori di questa), ma anche di realizzazione personale, emancipazione e di solidarietà, sintonia e affetto tra le donne.
Con un finale inaspettato, che prende le distanze dalle “solite favole”.
Riconoscere la forza e il coraggio delle donne e ispirare le ragazze a credere in se stesse e a inseguire i loro sogni fa riflettere anche sulle favole da tramandare alle generazioni future.
Andiamo tutti al cinema a vedere “C’è ancora domani”, almeno una volta.
E parliamone con colleghi, amici e parenti! C’è ancora tanto da dire e da fare!