Il summit di Belem sull’Amazzonia si conclude con un nulla di fatto

100 miliardi per salvare l’Amazzonia, il polmone verde del Pianeta, ed un impegno comune per preservare la foresta pluviale. Queste le richieste di Luiz Inacio Lula da Silva, il Presidente del Brasile, alla vigilia del vertice dell’OTCA – Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica – tenutosi a Belem gli scorsi 8 e 9 agosto. Invece, dopo 2 giorni, il summit tra i rappresentanti di Brasile, Colombia, Bolivia, Guyana, Suriname, Perù, Venezuela ed Ecuador, gli 8 Paesi su cui si estende la foresta, si è chiuso con un documento di 113 punti ed un quasi nulla di fatto.

Qualcuno l’ha etichettato come un fallimento e ribattezzato come un’occasione persa. Che i protagonisti non siano allineati lo dimostrano le mancate parole di Lula a conclusione del vertice e l’assenza di Gustavo Petro, il Presidente della Colombia, nella foto di chiusura.

L’impegno per contrastare la deforestazione dell’Amazzonia

Nella capitale dello stato brasiliano del Pará, alle porte dell’Amazzonia, gli 8 Stati dell’OTCA avrebbero dovuto fissare nuovi obiettivi comuni ed assegnarsi nuovi compiti, con l’intento di salvaguardare un ambiente che ospita il 10% delle biodiversità della Terra e che rischia di arrivare presto al punto di non ritorno. Secondo gli scienziati, infatti, il polmone verde è prossimo a raggiungere quel momento in cui emetterà più anidride carbonica rispetto a quella assorbita. Superare quel limite provocherebbe conseguenze irreversibili e nefaste non solo all’area subtropicale del Sudamerica, ma a tutto il Pianeta.

La richiesta di 100 miliardi di dollari, promossa da Lula ed accolta positivamente anche dagli Stati Uniti e dall’Europa, serve a garantire lo sviluppo sostenibile della bioregione amazzonica, per aiutare le popolazioni indigene che vivono nella foresta e per intraprendere sfide cruciali. In primis, il contrasto alla deforestazione innescata dall’assegnazione dei terreni per il pascolo del bestiame, dalle estrazioni di petrolio e minerali e dal traffico di legname, armi e droga.

Il piano di Lula: deforestazione zero entro il 2030

Il piano del Brasile di Lula è chiaro: difendere il polmone verde e tutelare le popolazioni indigene. Il settantottenne ex sindacalista, tornato a guidare la Nazione a distanza di 20 anni dalla sua prima elezione, rilancia l’obiettivo deforestazione zero entro il 2030. Secondo il report di Global Forest Watch, dopo la Bolivia, il Brasile è lo Stato che ha perso più foresta originaria (8,46% contro il 9,06% la Nazione guidata da Luis Arce, ex Ministro dell’Economia di Evo Morales), a causa di incendi illegali e danni derivanti da fenomeni naturali.

La sfida del Governo di Brasilia è difficile, ma non impossibile. Rispetto ad un anno fa, quando il Paese era guidato da Jair Bolsonaro ed il 25 luglio 2022 vedeva scomparire un’area della foresta pari a 8.400 campi da calcio, la deforestazione si è ridotta del 60%.

Belem: centro del mondo anche nel 2025 per la COP 30

Nonostante il vertice non abbia prodotto significativi passi in avanti, Belem rimane sempre la città della speranza per salvare la foresta pluviale ed il Pianeta. Nel 2025, infatti, la città ospiterà la COP 30, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I rappresentanti degli Stati membri si ritroveranno alle porte dell’Amazzonia per affrontare il futuro del clima e per aggiornarsi sull’impegno preso alla ventiseiesima conferenza di Glasgow: taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica nel 2030, zero emissioni nette intorno alla metà del secolo e decarbonizzazione.

Se la COP 27 ha istituito il fondo Loss and Damage, che ricompensa le Nazioni meno responsabili dell’innalzamento della temperatura per le perdite e i danni causati da fenomeni meteorologici estremi, la COP 28 che si svolgerà negli Emirati Arabi Uniti, la COP 29 che potrebbe essere ospitata dall’Australia nel 2024 e la COP 30 di Belem dovranno presentare soluzioni capaci di avere un impatto immediato sul clima. Le promesse, a questo punto, non servono più.

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