“Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione socio-sanitaria“.
Così si esprime in materia il Piano Sanitario Nazionale 2003 – 2005, evidenziando l’importanza di un intervento integrato. Il disagio psichico, infatti, si caratterizza per le problematicità che comporta tanto a livello psichico e fisico, quanto a livello sociale. L’integrazione socio-sanitaria, in questo ambito, rappresenta il punto cardine da cui far partire il processo d’aiuto.
Il bisogno di salute e di benessere necessita di risoluzioni che siano tanto curative quanto assistenziali. Per garantire l’appropriatezza dell’intervento terapeutico è essenziale attivare un progetto individualizzato e integrato di presa in carico, che possa svilupparsi a livello multi-dimensionale e multi-professionale con particolare riguardo per le persone considerate fragili. A tal proposito è facile percepire come l’integrazione socio-sanitaria nell’ambito della salute mentale risulti un obiettivo di assoluto obbligo.
Integrazione socio-sanitaria: cosa significa
Per comprendere il significato dell’integrazione socio-sanitaria si può fare riferimento all’articolo 3 septies del Decreto Legislativo n. 229 del 1999. Qui le prestazioni sociosanitarie sono state definite come “l’insieme delle attività che si prefiggono il soddisfacimento, attraverso percorsi assistenziali integrati, dei bisogni di salute dei soggetti necessitanti dell’intervento combinato di prestazioni sanitarie e di azioni di protezione sociale”. Si tratta di attività in grado di garantire loro la continuità delle azioni di cura e di riabilitazione di cui hanno bisogno.
L’effettiva messa in pratica
Nel 13 dicembre 2021 è stato pubblicato l’ultimo aggiornamento del Rapporto di Salute Mentale relativo all’anno 2020. Dai dati presentati emerge una particolare disparità tra le figure professionali che operano nell’ambito della salute mentale. Si nota subito come la presenza degli assistenti sociali (4,1%) e degli psicologi (6,9%), figure professionali operanti prettamente nella componente sociale dell’intervento, sia nettamente inferiore rispetto a quella degli infermieri (42,9%) e dei medici (17,9%).
Questi risultati evidenziano l’incapacità da parte delle figure professionali, così composte, di offrire un processo d’aiuto che sia integrato a pari livello sul piano sociale e sanitario. Questo scenario non consente di perseguire a pieno ogni utile iniziativa atta a far sì che le persone affette da disturbi psichiatrici possano, nonostante le loro patologie, riacquistare la loro dignità e ottenere un accettabile livello di inclusione nella società.
di Sara Ciarcià,
Volontaria Servizio Civile Universale