È un fiume in piena Paola Aceti – romana, cresciuta in una famiglia perbene, con tanta voglia di condividere la sua esperienza – e dalle sue parole subito traspare il coraggio di reagire al disagio, alla sofferenza e alla solitudine che l’hanno portata nel tunnel dell’alcolismo e della tossicodipendenza e dal quale, 12 anni fa, è riuscita ad uscire.
Nella Giornata Mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga la testimonianza di Paola, ex tossicodipendente, oggi cuoca nonché autrice del libro “Esiste la luce nel buio”, è un messaggio di speranza per chi, come lei, sta cercando di uscire dalla dipendenza dalla droga “maledetta e ingannatrice” e di allarme per chi “potrebbe credere all’illusione di trovare rimedio in ciò che rimedio non è, ma al contrario devasta psicologicamente e fisicamente“.
Perché si entra nel tunnel della droga?
“Siamo fragili: i nostri comportamenti e le scelte sbagliate sono frutto di traumi e di disagi vissuti nell’infanzia o in età adolescenziale, che crescono inconsciamente dentro di noi e che possono portare a credere che la droga ne sia la soluzione. È nei momenti di lucidità, quando i problemi si ripresentano non solo come prima, ma peggio di prima, sempre più grandi e difficili da risolvere, che si è portati ad aver bisogno di una dose ancora più forte, per anestetizzare il dolore… Prima si comprende quali sono le ferite dell’anima e prima se ne esce. Quando ho capito, grazie al periodo trascorso in carcere, che l’alternativa era la morte, ho dovuto fare un lavoro enorme per trovare le mie risposte, nel mio caso un’infanzia con un padre rigido e autoritario, che mi ha portato a chiudermi a riccio e ad aver paura di dire qualsiasi cosa. Il dialogo con i figli, con gli amici, è fondamentale, è la prima cosa. La droga può sembrare un rifugio, ma il vero rifugio sono gli affetti sinceri”.
Qual è stato il momento più difficile?
“I momenti difficili sono stati tanti, una continua corsa ad ostacoli. Uno di questi è stata la separazione da mio marito: la solitudine mi ha portato all’alcolismo. Dopo due anni in comunità non bevevo più, ma ho iniziato a fare uso di droghe, eroina e cocaina, e con l’uomo di allora, che avevo conosciuto in comunità, dopo aver tentato una rapina, sono finita in carcere.
Le comunità non sono tutte uguali, come non lo sono le persone: non tutte reagiamo allo stesso modo – incalza Paola – e se si vuole intervenire seriamente è necessario che esperti e professionisti indirizzino le persone con dipendenze, dall’alcool come da altro, a strutture che abbiano gli strumenti adeguati per poter fornire un aiuto concreto e risolutivo. Altrimenti è tempo perso. Ed è questo messaggio che deve essere recepito: comprendere e lavorare sulle ferite dell’anima accelera il processo di guarigione.
Chiunque abbia un parente o un amico tossicodipendente deve rendersene conto, perché la mia esperienza può accelerare il percorso di rinascita di tanti altri. Ecco perché può essere utile intervenire nelle scuole, nelle carceri, nelle comunità, in ogni luogo dove sia possibile attuare azioni di prevenzione e sensibilizzazione.
Per tornare alla domanda, il momento più difficile è stato il periodo trascorso in carcere, non tanto per le compagne, con le quali avevo anche un buon rapporto, ma perché è stato lì che ho acquisito la consapevolezza di non avere altra scelta: la morte certa o guardarmi dentro alla disperata ricerca di una luce chiamata “speranza”. Ho tirato fuori il coraggio che avevo nascosto e sepolto dentro di me per lavorare sulle mie ferite e poter iniziare a vivere”.
Il perdono può essere uno strumento di guarigione?
“Il perdono è stato fondamentale nel mio percorso. Ho perso da poco entrambi i genitori, mia madre con l’alzheimer, una di quelle malattie devastanti, e ho accudito mio padre fino all’ultimo, con amore. Nel tempo trascorso insieme abbiamo recuperato il nostro rapporto. Mi commuovo sempre parlando di loro… Ma ripeto: il dialogo è indispensabile”.
Chissà… Magari, dopo il libro, la storia di Paola potrebbe essere raccontata anche in un film: lei è già personaggio e, come le strutture narrative richiedono, dopo il primo incidente, la tossicodipendenza, e il momento più buio, il carcere, arriva il punto di svolta. Paola combatte la sua battaglia finale e arriva alla risoluzione, affrontando le sue paure esce dal tunnel. Scritto così, può sembrare riduttivo, ma non è questo il punto, perché la sua conquista, la guarigione e la rinascita, la crescita personale, adesso Paola vuole metterle a disposizione di tutti e per il bene di tutti e un film potrebbe essere un’altra opportunità per farlo.
Ci piace perfino svelare il finale di questo film e che sia anche ben chiaro, perché è questo che Paola ci dimostra: la droga non è invincibile.