Disturbi alimentari (DCA). “Corpo: recipiente emotivo”

Il controllo. Le limitazioni. L’identità. La domanda “Chi sono io?”. Il bisogno di appartenenza. L’amore. Sono alcune delle motivazioni che portano a disturbi alimentari (DCA).

Oggi è sempre più frequente diagnosticare tali disturbi, sia perché sono aumentati i casi sia perché c’è una maggiore consapevolezza.

Il primo disturbo riconosciuto è stato l’anoressia nervosa; in seguito la bulimia nervosa. Mentre poi ne sono stati scoperti e studiati altri, come: il binge eating disorder (alimentazione incontrollata, BED), la pica, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID) e i disturbi non altrimenti specificati (NAS).

Qual è l’esordio di tali disturbi e qual è il genere più predisposto?

L’età media di insorgenza dei dca è durante l’adolescenza. Secondo alcune statistiche, verso i 17-18 anni vengono diagnosticate maggiormente l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa; invece, ai 21 anni il disturbo da alimentazione incontrollata.

Tuttavia, l’età di insorgenza di questi disturbi è diventata più precoce, arrivando a essere diagnosticata anche nei bambini e nelle bambine di 8 anni. Ci sono stati casi in cui è stata accertata l’anoressia nervosa infantile in bambini intorno ai 3 anni.

Ma quali sono le cause? Possono essere molteplici: predisposizioni genetiche e ambientali, cause relazionali (stress psicosociale), dovuto a traumi. Riguardo a quest’ultima, un bambino che ha subito un trauma con il cibo, magari gli è andato di traverso, può rifiutare di mangiare per paura, portando ad un disturbo alimentare come l’ARFID, disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo.

Per quanto riguarda la prevalenza di genere c’è una maggiore incidenza nel genere femminile. Anche se negli ultimi anni si sta riscontrando un aumento anche nei maschi, come l’anoressia nervosa e il binge eating disorder.

Avanza tra gli uomini la tendenza ad avere una maggiore preoccupazione per il proprio aspetto fisico. Un giovane che si vede magro, troppo magro, magari per l’assenza di massa muscolare, può soffrire di un disturbo chiamato dismorfismo corporeo o muscolare. In qualche modo non vede il riflesso di se stesso, ma una proiezione.

Sul tema declinato al maschile c’è disinformazione: in realtà, i disturbi nel genere maschile sono sottostimati. Per motivi culturali si è sempre pensato che tali disturbi potessero interessare solo le donne.

Quanto sono diffusi i disturbi alimentari in Italia e negli altri paesi?

Come stimato dalla Fondazione Veronesi, in Italia sono circa 3 milioni le persone che soffrono di disturbi alimentari, vale a dire il 5% della popolazioe. A livello globale dal 2000 al 2018 il numero è aumentato dal 3,4% al 7,8%, secondo animenta.org.

Dagli Stati Uniti arrivano dati ancora più preoccupanti: circa 30 milioni di americani soffrono di un disturbo alimentare ed è la terza causa di malattia cronica più diffusa tra le ragazze adolescenti. Il disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating disorder prevale al 5,5% rispetto alla bulimia (2%) e l’anoressia (1,2%).

In Asia, in particolare in Giappone si ha una maggiore incidenza di tali disturbi, seguita dalla Cina, nella città più “occidentalizzata” Hong Kong.

Sanjay Chug, uno psichiatra indiano, afferma che queste patologie non trovano una motivazione solo nella ricerca del perfezionismo estetico: “Molti pensano che avere un disturbo alimentare significhi semplicemente non mangiare. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg. In realtà è la manifestazione di complessi disagi psicologici”.

Disturbi alimentari in Africa e Asia

Contrariamente a quanto si pensi, si riscontrano casi di disturbi alimentari anche nei paesi dell’Africa.

Nell’Africa sub-sahariana, ad esempio, sono stati riscontrati casi di anoressia nervosa. È stato effettuato uno studio su campioni di 668 studentesse di due scuole differenti in una regione rurale a Nord-est del Ghana: 10 di queste ragazze sono risultate “patologicamente sottopeso”. CLICCA QUI PER LO STUDIO COMPLETO.

La causa? Un digiuno autoimposto. Questa autoimposizione è dovuta da un eccessivo autocontrollo per raggiungere determinati standard morali, religiosi e accademici che rispecchiano il loro concetto di perfezionismo.

A differenza del mondo occidentale, ci sono diverse motivazioni e cause. È stato scoperto che le motivazioni delle ragazze ghanesi non riguardavano la paura di ingrassare o prendere peso, contrariamente da quanto si apprende in altre parti del mondo.

Stesso riscontro si è avuto in un altro studio condotto su ragazze cinesi con disturbo di anoressia nervosa: le ragazze riportavano tutti i sintomi caratteristici, compresa l’amenorrea, ma solo una minima parte rientrava in un rapporto difficile con il proprio corpo. CLICCA QUI PER LO STUDIO COMPLETO.

Questi studi e diagnosi effettuati vengono chiamati “non-fat phobic anorexia nervosa”, rientrando nel mondo occidentale nella categoria NAS, ossia disturbi alimentari atipici.

Il concetto di autocontrollo nei disturbi alimentari

Tramite il “test del marshmallow”, lo psicologo W. Mischel distinse due tipi di sistemi decisionali: uno caldo legato al sistema limbico (impulsività) e un altro cognitivo, legato alla corteccia prefrontale. Quello cognitivo consente di resistere alle tentazioni. Come? Sfruttando tecniche di distrazione e ponendo un autocontrollo grazie a cui si riescono a gestire questi impulsi.

Ma cos’è l’autocontrollo e come riguarda i dca? Come abbiamo accennato l’autocontrollo è la capacità di inibire tentazioni per raggiungere obiettivi successivamente. È un aspetto positivo dell’essere umano, ma la linea è sottile fino a quando, spezzandosi, non si “perde il controllo”, oltrepassando il limite. In questo caso si parla di ipercontrollo o di discontrollo.

L’ipercontrollo, porta il soggetto ad affrontare tematiche della vita in modo rigido, sopprimendo spesso anche la parte emotiva, tendenza al perfezionismo, portando il soggetto ad un isolamento e ad una iper indipendenza.

Nell’anoressia questa caratteristica porta ad un desiderio di perfezionismo corporeo irraggiungibile. Perché irraggiungibile? Perché la persona che ne soffre vive un costante senso di inadeguatezza e dismorfismo del proprio corpo. Credendo di avere più chili di quanti siano realmente; controlla la propria alimentazione e diminuisce l’assunzione di cibo. Avrà sempre una perfezione ideale contraria ad una visione distorta della realtà del proprio corpo.

Il discontrollo, invece, porta il soggetto ad una perdita di controllo. I fattori sono anche qui diversi ma regolati da una disregolazione emotiva, caratterizzati da comportamenti impulsivi, azioni non pianificate senza pensare alle conseguenze.

Comportamento tipico di chi soffre di disturbo da alimentazione incontrollata: caratterizzato da ingenti abbuffate e una perdita di controllo sulla propria alimentazione.

Sindrome da sovrallenamento: disturbi alimentari nello sport

La maggior parte della persone pratica uno sport nella propria vita, dal semplice camminare al giocare a tennis, alla pallavolo. Alcune di esse, anche a propria insaputa, si ritrovano ad avere un disturbo alimentare. Basti pensare all’eccessivo allenamento e alle restrizioni non richieste applicate al piano alimentare.

Ne sono vittime sia atleti non agonisti sia atleti agonisti. Ma come si riconosce e cosa comporta? Si inizia a riconoscere da determinati comportamenti definiti come: “sindrome da sovrallenamento”.

Gli sportivi oggetto del tema presentano affaticamento, alterazione della frequenza cardiaca, dolori articolari, calo nelle prestazioni fisiche, insonnia e nelle donne anche amenorrea (Leggi qui per approfondire).

Disturbi alimentati dai social e altre piattaforme

I social media sono mezzi di informazione e trasmissione, ma se vengono usati in modo scorretto, possono comunicare messaggi sbagliati e causare danni importanti agli utenti.

La costante ricerca della perfezione instillata dai post di vite meravigliose, fisici scultorei e canoni irraggiungibili, possono portare ad una disgregazione del proprio essere, estraneazione anche da sé e dal proprio corpo. Fare i conti con l’imperfezione determina un calo dell’autostima, e contestualmente la possibilità che insorgano disturbi alimentari.

Gravidanza e disturbi alimentari

Anche durante il periodo di gravidanza i disturbi alimentari possono presentarsi. È un passaggio molto delicato in cui oltre a cambi emotivi dovuti sia al momento sia a fattori biologici, c’è un cambiamento fisico.

Spesso la donna non è preparata; vedere il proprio corpo che cambia bruscamente può causare disagio, una sensazione di perdita di controllo e instabilità. Ciò porta l’attenzione verso l’alimentazione e l’aumento dell’attività sportiva.

Ci sono persone che credono che l’aumento di peso sia definito dal proprio regime alimentare; o in altri casi, anche consapevoli delle cause, cercano di restringere ed evitare di mangiare determinati cibi per paura di aumentare di peso.

I disturbi alimentari durante la gravidanza non solo portano a una serie conseguenze alla salute della donna, ma anche allo sviluppo del bambino. Inoltre, chi lo ha avuto in passato può ricadere in un disturbo alimentare sia durante la gravidanza sia nel post-partum.

Che cosa fare e come affrontarli?

I trattamenti dei disturbi alimentari sono complessi e difficili da affrontare, richiede un approccio multidisciplinare adeguato con la collaborazione di professionisti con competenze diverse che intrevengono in modo terapeutico sul paziente. In particolare, ci devono essere due ruoli principali che ricoprono l’aspetto clinico psicologico e alimentare: uno psicoterapeuta (e/o psichiatra) e un dietista.

Sono presenti anche esercizi di mindfulness e mindful eating che aiutano la persona a stare nel momento presente e a regolare le proprie emozioni, anche rispettivamente alla propria alimentazione.

Il Ministero della Salute ha messo a disposizione una guida per le famiglie per supportare un membro che ne soffre. Inoltre, bisogna evitare pressioni sul cibo e commenti a riguardo, poiché possono essere mal interpretate.

Istituire gruppi di supporto familiare, presenti anche in determinati centri di psicoterapia, per sensibilizzare sul tema e accrescere le conoscenze a riguardo. Tale gruppo può consentire anche ai genitori di condividere le proprie esperienze, ponendo una maggiore presenza e un supporto che infine è reciproco.

Chi sta prendendo consapevolezza di soffrirne, deve assolutamente chiedere aiuto, poiché è il primo vero passo indipendente e coraggioso verso se stessi. Andare da uno specialista, come uno psicoterapeuta, aiuterà a fornire degli strumenti alla persona e a prendere coscienza di sé e delle proprie emozioni.

Approcciare in modo empatico e con estrema delicatezza determinati temi dell’alimentazione è importante per la battaglia che la persona sta affrontando.

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