Poco dopo le ore 16.00 dell’8 gennaio 2025 Cecilia Sala, giornalista de Il Foglio e di Chora Media, è atterrata a Ciampino, ed è stata accolta dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Finisce così, dopo oltre tre settimane di prigionia, l’incubo di Sala e della famiglia.
La giornalista Cecilia Sala
Evin, il luogo in cui è stata rinchiusa – in isolamento per buona parte della detenzione – Cecilia Sala e che prende il nome dal quartiere in cui è situato, è un penitenziario noto per essere essenziale, cinico, barbaro. Caratteristiche che ben parafrasano le motivazioni per cui, dal 1972, è stato adibito a “ospitare” i prigionieri politici. Nessuno sconto per le voci “dissonanti”, nessun trattamento di favore, anzi. Rumore di “urla che non cessano mai e dove l’aria si respira per 5 minuti, due volte a settimana”; lo descrive così Alessia Piperno, blogger italiana detenuta per oltre 40 giorni nello stesso carcere di Cecilia Sala.
Giorgia Meloni e Antonio Tajani lo avevano assicurato: sarebbero state messe in campo tutte le forze disponibili per riportare a casa la giornalista romana. 29 anni, una grande passione per le cose del mondo. Sala, infatti, tra reportage, podcast, articoli e social, ha sempre raccontato storie (come il titolo del podcast realizzato per Chora Media), filtrato i Paesi in cui è stata con la propria lente, restituendo a lettori e ascoltatori puzzle tridimensionali, simmetrici, e curiosi dei luoghi esplorati.
Consuetudini ataviche e sociali, come il patriarcato, tema che Sala trattava dall’Iran (anche sui social, coinvolgendo un pubblico ampissimo) oltre alle lunghe giornate di conflitti; impervi percorsi per scoprire la verità: si veda il caso Marta Russo, la studentessa uccisa a La Sapienza di Roma, durante i primi anni 2000. A quell’evento di cronaca Sala ha dedicato molti sforzi giornalistici, un podcast e anche un saggio, entrambi dal titolo “Polvere”. Una professionista appassionata, che non si è risparmiata.
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Il caso Sala
La bizzarria, niente affatto ironica, solo beffarda, è che poi la sua è diventata una storia da raccontare. Il 19 dicembre, a ridosso del Natale, poche ore prima del suo rientro in Italia, Sala veniva arrestata e portata nel carcere di Evin. Una telefonata breve alla madre, poi la cella. Alcuni giorni dopo, l’annuncio da parte delle Farnesina prima, dei media poi, e la conferma arrivata puntuale dall’Iran: “Cecilia Sala è una detenuta del carcere di Evin per violazione delle leggi della repubblica islamica”.
Tanto che, nonostante le promesse di una prigionia poco meno di strettissima, non le era stato recapitato un pacco proveniente dall’Italia, e per di più non le era stato nemmeno consentito di dormire in un letto, lercio che fosse, nemmeno quello.
Il 2 gennaio, la madre, Elisabetta Vernoni, raccontava alla stampa che la figlia si trovava in una “cella di punizioni” e che se non si fosse fatto qualcosa in tempo utile, questa circostanza “l’avrebbe segnata a vita”. Aveva, però, anche ricordato a tutti che sua figlia si comportava da “soldato” e che lei avrebbe fatto lo stesso, e che riponeva estrema fiducia nelle operazioni avviate dal Governo. L’intervista arrivava proprio a seguito di un incontro tra Vernoni e la Presidente del Consiglio, presente in maniera concreta dal primo atto della vicenda.
Italia, Iran e USA
Mentre la famiglia chiedeva il silenzio stampa per favorire le operazioni, Tajani assicurava che il Governo era al lavoro in sinergia con l’AISE, capitanato Giovanni Caravelli. A tal proposito, il viaggio improvviso e brevissimo di Meloni a Mar-a-lago, in Florida. Perché, probabilmente, la partita si giocava su tre fronti. In Italia è, tuttora, detenuto l’ingegnere iraniano Abedini, accusato dagli Stati Uniti di cospirazione, associazione a delinquere e violazione delle leggi sul commercio (relativamente a una fornitura di droni e altri materiali al suo Paese d’origine).
Allora, come aveva riportato il New York Times, Meloni in occasione dell’incontro in Florida, aveva spinto molto sul caso Sala, riferendo a Trump di una questione di interesse nazionale, da risolvere con una certa urgenza e dunque senza possibili ingerenze. Un viaggio che ha di certo contribuito a una risoluzione in tempi brevi. Di fatti, poche ore dopo il ritorno in Italia di Meloni, alla giornalista venivano recapitati pacchi spediti dalla famiglia in Iran e le veniva cambiata la cella.
Le parole della Premier, al netto dei fatti, devono aver persuaso il tycoon – stando a quanto riferito da fonti vicine a palazzo Chigi – della farraginosità delle accuse rivolte all’ingegnere iraniano. Sull’estradizione (richiesta dagli USA) di Abedini resta un quid che troverà risposta nelle prossime ore, probabilmente durante la conferenza stampa di fine/inizio anno di Meloni, in programma il 9 gennaio, o a ridosso dell’incontro che proprio la Presidente avrà con il Presidente USA uscente, Joe Biden, prossimamente.
Tutte le forze politiche – dunque anche all’opposizione – si sono espresse favorevolmente nei confronti dell’operato del Governo, subito dopo aver appreso la notizia del rientro di Cecilia Sala in Italia, rimarcando quindi la solennità dell’impegno preso verso la cittadina romana detenuta in Iran.
La questione resta però intricata: ancora non è stato confermato il vincolo tra la detenzione di Abedini e quella di Sala – balzana la concomitanza temporale dei due arresti -, né il peso specifico del colloquio Meloni-Trump, o ancora l’eventuale contropartita richiesta dall’Iran per la scarcerazione della giornalista. Restano però due certezze: The Donald ha elogiato Meloni, aprendo la strada a una collaborazione futura serrata e, la più importante, Cecilia Sala ha riabbracciato la sua famiglia, il compagno e presto tornerà a raccontare storie, anche la sua.
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