Il “rumore” che vince il silenzio sulla violenza di genere

Dal 1° gennaio al 17 novembre 2024, in Italia sono stati registrati 269 omicidi, con 98 vittime donne, di cui 84 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 51 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner (fonte: ministero dell’Interno). A questi numeri vanno addizionati quelli relativi alle denunce per violenza e le richieste pervenute ai centri di accoglienza e alle fondazioni: il report di luglio in materia rilasciato dal ministero dell’Interno rileva che, in media, le vittime di violenza sessuale al giorno sono circa 16, di queste il 91% è donna. 

Numeri di fronte ai quali non resta che il silenzio. Anzi, il rumore. Il modo in cui i più giovani hanno scelto di reagire di fronte a reati feroci e retaggi desueti, ormai inaccettabili.

In parte, un vociare speculare a quello dell’Italia di inizio anni ‘60, quella che si trovava a fare i conti con le parole potenti e sbalorditive di Franca Viola (“Io non sono proprietà di nessuno”); in parte quello che cantava Raffaella Carrà nel ‘74, dunque nel pieno di un’ondata di cambiamenti per le donne, un rumore sinonimo di ansia, di emozioni bipartite, di tentennamenti tra la piena indipendenza e la coperta di linus dell’uomo forte, l’uomo scudo, capace di infondere sicurezza, e così difficile da mettere da parte. 

E poi quello del “make noise” in apertura di un concerto, quando tutti i cuori battono all’unisono, e non c’è gap di genere che tenga, e non ci sono catene, nessuna paura, niente limiti imposti, niente eredità ingombranti: solo piena e totale libertà. 

Alzare il volume ha assunto una nuova connotazione: se prima le parole sommesse potevano indicare il rispetto per la vittima, per il dolore delle famiglie, adesso a generare il senso di comunità e vicinanza è il rumore.

Niente caos, niente chiasso, solo una folla di voci in sincrono che non chiede giustizia, ma azioni, punti fermi per costruire una società in cui ci si possa sentire sicuri, in cui l’amore non sia mai sinonimo di possesso, in cui una donna non debba nascere con la sensazione di dover lottare il doppio e colmare costantemente un vuoto, in cui un uomo non debba sentire il peso di un passato che non gli appartiene. Una società che dia valore alla vita.

Costruire, anzi, rifondare una società di questo stampo richiede tempo e soprattutto richiede attenzioni, cura. La stessa impiegata da chi offre allo stesso tempo supporto e propone iniziative rivolte al cambiamento. 

I centri antiviolenza

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Attività, eventi e iniziative in quella data si sprecano, ma c’è chi impegna il proprio tempo sul tema 365 giorni su 365. I centri antiviolenza, ad esempio, hanno un compito preciso: accogliere le donne vittime di violenza (che ricordiamo non si traduce solo in violenza carnale, ma anche verbale, psicologica e fisica), supportarle nel momento più difficile e guidarle, offrendo anche assistenza in presenza di minori. 

Dal Telefono Rosa ai centri di Differenza Donna, passando per il lavoro di Giuridicamente Libera, Aiuto Donna, CRI, e D.I.Re e tantissimi altri. Su risorse.news vi abbiamo parlato del lavoro svolto dall’associazione capitolina Salvamamme (clicca qui per leggere l’intervista alla direttrice Katia Pacelli) e del progetto Airone, voluto dalla Fondazione Giardino Segreto, che invece tutela i bambini delle vittime di femminicidio (clicca qui).

Spesso contattare i centri non è semplice; le implicazioni che le donne vittime di violenza si trovano a dover affrontare, pratiche, emotive e psicologiche, sono complesse e limitanti. Seppure, secondo l’ISTAT, “Le donne sono il doppio più propense a sentirsi insicure quando escono da sole di sera (16,4% contro il 7,4% degli uomini) e sono circa quattro volte più numerose nel dichiarare di non uscire di sera per paura (19,5% contro il 5,3% degli uomini)”, ci sono altri parametri che, in caso di violenza, vengono considerati diversamente e portano a non avere la medesima percezione in situazioni a rischio concreto. 

Ancora stando a quanto riferito nel Report “La consapevolezza e l’uscita dalla violenza” (che tiene conto dell’esperienza femminile 2006/2014) molte donne “non considerano la violenza subita un reato, solo il 35,4% delle donne che hanno subìto violenza fisica o sessuale dal partner ritiene di essere stata vittima di un reato, il 44% sostiene che si è trattato di qualcosa di sbagliato ma non di un reato, mentre il 19,4% considera la violenza solo qualcosa che è accaduto”. La rilevazione intende quindi denunciare che bisogna lavorare sulla consapevolezza e sull’autoconsapevolezza, in particolar modo delle donne stesse.

Giocano quindi un ruolo fondamentale le reti che si creano attorno al lavoro svolto dai centri: quella solidale, formata dalle persone della quotidianità, la rete dell’informazione, che coinvolge tutti i mezzi con cui è possibile diffondere comunicazioni, notizie e così via. La rete della collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine e settore sanitario.

Le fondazioni

Alcuni centri fanno capo alle fondazioni, parte attiva di questa equazione. Molte attività no profit, infatti, grazie alle donazioni e all’adesione a progetti e iniziative possono erogare servizi importanti per la prevenzione e la difesa, ma hanno anche l’opportunità di innescare cambiamenti, di arrivare nelle scuole, dove si forma il pensiero degli adulti di domani. Un esempio recente riguarda la neonata Fondazione Giulia Cecchettin, realizzata dal padre Gino, dalla sorella Elena e dal fratello Davide.

La storia della giovane donna uccisa brutalmente, con 72 coltellate, da Filippo Turetta nel novembre del 2023, è emblema di un forte di disagio, di un fenomeno che riguarda tutti, giovani e meno giovani, donne e uomini allo stesso modo. Gino Cecchettin scrive infatti sul sito ufficiale della Fondazione: “La perdita di Giulia ha scosso le fondamenta della mia esistenza e mi ha spinto a un impegno incrollabile contro la violenza di genere”. Un impegno condiviso da tantissime altre realtà come Una, nessuno e Centomila, Fondazione Libellula, e Pangea. 

Ricordiamo alle lettrici, infine, che anche lo strumento digitale può essere utilissimo quando si parla di prevenzione e supporto. Ve ne abbiamo parlato lo scorso anno QUI, proprio in occasione della ricorrenza.

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