Shein: Londra preoccupata per la quotazione in borsa, in Italia interviene l’AGCM

“Dove l’hai comprato questo?” “su Shein! Carino, pagato pochissimo, vediamo se dura”: una conversazione tipo che introduce un tema caldissimo di questi giorni: l’acquisto di capi di tendenza a prezzi stracciati a discapito di diritti umani, ambiente e della filiera della moda. Di per sé l’argomento non è una novità, dell’e-commerce (per cui esiste solo store virtuale e raramente, per tempi brevi, dei negozi pop up) emblema del fast fashion, e di tutto ciò che rappresenta, se ne parla ormai da anni. 

Tuttavia, da inizio estate, sono accadute diverse cose che stanno catalizzando l’attenzione di alcune autorità (come ad esempio l’AGCOM) e governi del mondo, tanto da arrivare a imporre limitazione e studiare diligentemente le modalità con cui il colosso della vendita online produce i materiali e utilizza lo strumento marketing. 

Sì, ma su Shein costa la metà

Shein funziona perché la navigazione del sito web (così come dell’app) è stata egregiamente progettata: un contenitore labirinto, dal design semplicissimo, che rende quasi impossibile trovare l’uscita, se non dopo un’ora abbondante e con il carrello virtuale che trabocca. Stanze online immense dove è possibile trovare di tutto: abbigliamento donna, uomo e bambini, arredo casa e per ognuna delle singole categorie cassetti e cassetti di sottogruppi. Tutto questo a prezzi incredibilmente bassi.

Un negozio minimal, curato, che accoglie però i nuovi visitatori con banner coloratissimi costruiti per offrire subito uno sconto iper seducente su tutte le collezioni, oppure che promette spedizioni gratuite e l’accesso a regali esclusivi da parte della piattaforma. Un contrasto netto quello tra il layout beige e bianco (e i prezzi in rosso caramella) e il banner rosa shocking che lampeggia durante il caricamento dei contenuti. Efficace perché in qualche modo l’impostazione elementare, quasi sciatta agli occhi di chi dedica tanta cura ai dettagli del proprio sito web, racconta una storia: ti vendiamo ciò che desideri, ai prezzi che desideri, perché siamo come te, normali. 

Dunque l’alta moda a 12 euro perché commisurata allo stipendio dell’utente medio, oppure alle possibilità economiche magari di ragazze e ragazzi minorenni che studiano e non dispongono di un patrimonio proprio. Centinaia di migliaia di ordini al minuto provenienti da ogni dove. Un successo stratosferico, se si guarda anche al numero di download dell’app Shein: basti pensare che solo nel 2023 l’applicazione è stata scaricata 338 milioni di volte. 

Tik Tok: il tempo dei follower

In tema di giovani utenti va anche osservato l’andamento social del marchio: quasi 22 milioni di follower su Instagram, quasi 3 milioni su Tik Tok. Il social cinese, che ha saputo imporre la propria linea di comunicazione durante il lockdown, ha poi un legame strettissimo con Shein, almeno questo è quanto rileva la CNN. 

Tik Tok, infatti, acquista all’ingrosso abiti da Shein e li mette in vetrina, favorendo il passaggio degli haul video (per chi non lo sapesse si tratta di video in cui una modella o un’influencer ‘spacchetta’ un involucro o rovista in una shopper e scopre ‘insieme’ gli utenti il contenuto). Una formula vincente per entrambe le piattaforme cinesi: una monetizza e cresce con le views, l’altra vende, vende, vende in tutto il mondo. 

Certo è che nonostante le azioni impugnate da Ralph Lauren, Levis, AirWair e altri marchi di rilevanza globale inerenti a potenziali plagi, le inchieste che hanno rivelato le condizioni al limite in cui si trovano a lavorare alcuni dipendenti delle fabbriche cinesi (ve ne abbiamo parlato qui), Shein continua a proporre creazioni – non sempre innovative – con successo, arrivando quindi, alcune settimane fa, a un passo dalla quotazione in borsa. 

Il rifiuto degli americani, il passo avanti di Londra

Come riferisce il Guardian, Shein ha in programma di quotarsi alla Borsa di Londra con una valutazione pari a 50 miliardi di sterline. Questo dopo aver tentato di procedere con la quotazione a New York senza successo; pare infatti che diverse cariche istituzionali statunitensi abbiano deciso di porre un veto insindacabile dopo aver rilevato una netta violazione dei diritti umani all’interno di determinate fabbriche cinesi in subappalto a Shein. Va chiarito che il colosso dello shopping online ha ammesso di aver accertato due casi di sfruttamento minorile e diverse violazioni delle linee guida relative alle condizioni di lavoro negli stabilimenti.

Ciò ha determinato una politica “di tolleranza zero”, anzi, come un portavoce dell’azienda ha chiarito ai media: “La visibilità lungo tutta la nostra catena di fornitura è della massima importanza per noi e siamo totalmente impegnati a rispettare i diritti umani. Per rispettare le leggi applicabili, non solo richiediamo che i nostri produttori a contratto si riforniscano di materiali solo da regioni approvate, ma verifichiamo anche questo in modo indipendente“.

Anche in Inghilterra, però, c’è chi storce il naso, perché nonostante le rassicurazioni da parte dei vertici di Shein sul rispetto dei diritti umani dei lavoratori, restano non poche ombre su cui fare luce. Si richiede, infatti, una maggiore trasparenza. Liam Byrne, parlamentare laburista e presidente della commissione per gli affari e il commercio del parlamento, ha riferito al Guardian: “Il mio punto di vista è che non abbiamo un Uyghur Forced Labor Prevention Act in Gran Bretagna e quindi spetta ai ministri accertarsi che Shein soddisfi gli standard più elevati in materia di protezione del lavoro forzato. Questo è un aspetto che un governo laburista potrebbe voler affrontare“.

Va tenuto conto anche della resistenza da parte degli attivisti, non solo britannici, che vedono in questa operazione finanziaria un danno non da poco considerata, almeno dal loro punto di vista, la scarsa trasparenza con cui Shein si muove nel mercato. 

Una linea green…

Un altro tema che genera diversi interrogativi è quello che riguarda le modalità di produzione: il fast fashion non crea solo un danno economico, ma anche ambientale. Una produzione tanto rapida e abbondante è sintomatica di utilizzo di materie prime scadenti quasi impossibili da smaltire e riciclare correttamente, ma anche dell’impiego smanioso e preoccupante di risorse idriche (su questo il Parlamento europeo fornisce un dato indicativo su cui riflettere: “per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo”). 

Bisogna poi contare le emissioni di CO2. A tal proposito: “secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate” (fonte Parlamento UE).

Al netto di quanto osservato, c’è da parte delle aziende, nel caso specifico di Shein, una particolare attenzione, sul piano comunicativo, rispetto dell’ambiente e delle regole internazionali relative al greenwashing. E sebbene Shein abbia comunicato di voler ridurre le emissioni e il proprio impatto sull’ambiente, al livello internazionale la sensazione è che si tratti di una sfida quasi impossibile. 

Sustainability and Social Impact Report è un documento, che il marchio pubblica da circa tre anni, in cui si affronta il tema, si analizzano gli obiettivi da raggiungere, e in cui si ammette di aver registrato una crescita esponenziale delle emissioni (da 9,17 milioni di tonnellate di gas CO2 equivalente nel 2022 a 16,68 milioni nel 2023), valori su cui è necessario intervenire. 

La presa di coscienza (vale a dire la pubblicazione del report) e la volontà di agire per cercare di rendere il più sostenibile possibile una tale mole di produzione non fanno che bene all’immagine dell’azienda; eppure non sempre le parole raccontano i fatti. 

…washing!

Durante l’ultima settimana l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Infinite Styles Services CO. Limited con sede a Dublino, che gestisce il sito web italiano di Shein, per la possibile ingannevolezza di alcune affermazioni ambientali contenute nelle sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale” del sito shein.com.

Infatti, come si legge nel comunicato stampa rilasciato dall’Autorità, “a fronte della crescente sensibilità dei consumatori per l’impatto delle loro scelte di consumo sull’ambiente, la società cercherebbe di veicolare un’immagine di sostenibilità produttiva e commerciale dei propri capi d’abbigliamento attraverso asserzioni ambientali generiche, vaghe, confuse e/o fuorvianti in tema di ‘circolarità’ e di qualità dei prodotti e del loro consumo responsabile”. 

AGCM contesta anche “alcune informazioni presenti su ‘evoluSHEIN’ (contenuto presentato all’interno del rapporto come ‘iniziativa di prodotto volta ad accelerare l’uso di
materiali e processi produttivi responsabili‘), la collezione di abbigliamento dichiarata “sostenibile” dalla società, potrebbero indurre in errore i consumatori riguardo alla quantità utilizzata di fibre ‘green’, omettendo anche di informarli sulla non ulteriore riciclabilità dei capi d’abbigliamento”.

“Nell’avvio istruttorio – prosegue il cs – l’Autorità ipotizza che la società adotterebbe strategie di comunicazione con tratti ingannevoli/omissivi in tema di sostenibilità, considerato anche l’impatto ambientale del proprio settore di attività, quello del cosiddetto ‘fast o super fast fashion’”.

Insomma, di carne al fuoco ce n’è. L’attenzione è così elevata sia per i numeri che caratterizzano il favore dei consumatori verso Shein, ma anche perché i social spingono in maniera intensa la pubblicizzazione di piattaforme quali Shein, Temu e così via. Il tema inevitabilmente si interseca anche con le nuove linee guida che le e gl influencer devono seguire in merito alla promozione di prodotti marchi e così via. 

Alla base c’è la necessità di definire nuovi orizzonti di chiarezza e trasparenza quando i fruitori di un determinato contenuto e/o possibili acquirenti si trovano a navigare nel mare magnum del tantissimo, smoderatissimo universo digitale.

 

Riconoscimento editoriale: T. Schneider / Shutterstock.com – ID 2189748571

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