Mancano 54 giorni alle Presidenziali. Sulla carta un tempo abbondante; in pratica siamo agli sgoccioli. Questa particolare campagna elettorale USA ha abituato a colpi di scena interessanti e ha anche indicato come in poche ore possa stravolgersi l’intera narrazione di un fatto. Fino allo scorso giugno, infatti, Donald Trump sembrava avere in pugno il prossimo quadriennio, un ritorno alla presidenza quasi scontato.
Ma poi Biden ha tirato i remi in barca, causa dibattito insoddisfacente con l’avversario politico; troppe le defaillance, carente il mordente da leader. Hanno contribuito a questa decisione anche il Covid (Biden ha contratto il virus, un ulteriore attacco, seppur involontario, alla stabilità – già minata – della sua figura) e la diffidenza degli interni al partito.
Sin da subito, è parso chiaro che sarebbe subentrata in corsa Kamala Harris, sua Vice. Un passaggio quasi obbligato, naturale. E va detto: le prime ore dopo gli annunci ufficiosi hanno contato solo grande caos e scetticismo. Anche perché The Donald, forte dell’equilibrio ballerino dei democratici, e dell’aver salvato la pelle durante la ormai celebre sparatoria del 13 luglio, era abbastanza sicuro di non poter incontrare ulteriori ostacoli sul cammino verso la vittoria.
Con il passare dei giorni e l’arrivo di endorsement attesissimi, però, Harris è sembrata essere la persona più adatta ad assumere il ruolo di candidata alla Presidenza degli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda i dem. Già Vicepresidente e procuratrice, la VP ha scelto di non entrare a gamba tesa; ha atteso che i sostenitori della campagna elettorale e i cittadini accettassero la novità. Una mossa vincente, perché oggi, che è ufficialmente in corsa, i sondaggi raccontano di un imprevedibile testa a testa.
Galeotti furono i dibattiti
Sembra poi che la corsa alla Casa Bianca sia condizionata più che mai dall’andamento dei dibattiti: se Trump ha saputo mettere alle corde Biden durante il confronto di fine giugno, giocando abilmente sulle debolezze dell’avversario e costringendolo a cedere il posto, quello di inizio settembre, invece, ha visto Kamala Harris prevalere sul Tycoon (secondo un sondaggio della CNN il 67% degli spettatori/elettori avrebbe preferito la performance della Vicepresidente). Nel post dibattito, Trump ha manifestato disappunto, arrivando a insinuare, senza mezzi termini, che la ABC avrebbe “truccato” il confronto. Harris ha invece invitato tutti alla calma, a non fare proclami.
Si riprende da qui, dunque, dal post dibattito, dalla vigorosa, bellicosa (in senso buono) e già iconica stretta di mano tra i due candidati. 90 minuti utili a saggiare le strade che, in caso di vittoria, ognuno intenderà intraprendere. Due visioni che Harris ha perfettamente sintetizzato al termine della sessione: una guarda al futuro, l’altra resta ancorata al passato.
A Filadelfia, infatti, si è parlato di approcci opposti a: politica estera, aborto, immigrazioni, crisi climatica e interventi nel breve periodo per il benessere economico e sociale dei cittadini americani.
Harris vs Trump: lo scontro sulla politica estera
Considerando il periodo storico, non sorprende che il tema abbia monopolizzato il confronto. Trump ha affrontato la questione denunciando l’incapacità del Governo attuale (e quindi anche futuro, considerando che le linee di intervento potrebbero essere molto simili) nella gestione dei conflitti nel mondo, in particolar modo guardando alla questione israelo-palestinese e alla guerra tra Russia e Ucraina.
“Questo Governo è un vero e proprio disastro” ha detto il Tycoon, che poi ha informato i potenziali elettori che sarebbe in grado, in caso di vittoria, di porre fine alle ostilità tra Russia e Ucraina. La priorità sarebbe contattare personalmente i due leader politici e trovare un accordo per “mettere fine alla guerra”. Un’affermazione importante, ma nessuno sa come potrebbe effettivamente dare seguito alla promessa di pace considerando che non ha saputo fornire i dettagli.
Insomma, uno dei conflitti di più complessa risoluzione al mondo arriverebbe alle battute finali grazie alla sua vittoria, ma non è dato sapere come. Trump ha poi aggiunto che Harris non sarebbe interessata né alla pace, né a Israele, soprattutto non avrebbe a cuore le vittime provocate dai conflitti in generale.
Non è al miele la risposta della candidata dem che ha invece scelto di colpire Trump dove fa più male: alle sue relazioni istituzionali, quelle su cui il repubblicano spinge prevalentemente per attirare consensi, come ad esempio l’amicizia con Vladimir Putin. “I leader del mondo ti considerano un disastro“, ha sentenziato Harris, “fanno il tifo per lui perché lo possono manipolare […] Se Trump fosse presidente, Putin sarebbe seduto a Kiev con gli occhi puntati sull’Europa“, una tesi che smonterebbe la promessa di pace.
Anche Harris, però, ha riferito di essere pronta a prendere le redini e di trovare una soluzione su entrambe le questioni, quanto a quella israelo-palestinese, ad esempio: “Questa guerra deve finire immediatamente e il modo in cui finirà è che abbiamo bisogno di un accordo di cessate il fuoco e che gli ostaggi vengano rilasciati. Quindi continueremo a lavorare 24 ore su 24 su questo”.
Al netto dei fatti, l’esecutivo guidato da Joe Biden ha effettivamente proposto una tregua, a inizio estate, che ha ottenuto l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con 14 voti favorevoli. Il piano prevedeva il progressivo ritiro delle truppe di Israele da Gaza e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas.
Aborto i candidati sulla Roe vs Wade
Un altro tema scottante è quello dell’aborto. Notoriamente i conservatori sono contrari all’interruzione di gravidanza; i democratici, invece, la definiscono un diritto della donna. Ad accendere la miccia in questo caso è stata la dichiarazione di Trump secondo cui i democratici avrebbero intenzione di praticare l’aborto al nono mese di gravidanza, vale a dire un vero e proprio infanticidio. Affermazione passata al vaglio del fact checking e smontata in pochi secondi. La particolarità è che il candidato dell’elefantino, da inizio campagna, non ha mai voluto rispondere in maniera concreta sull’argomento.
Quello dell’aborto per Harris, invece, è un terreno fertile. Non solo perché a riferire è una donna, ma perché in maniera appassionata e concreta ha definito piani per non abbandonare le donne, in particolar modo quelle a cui l’interruzione di gravidanza eviterebbe altri dolori; il riferimento, ad esempio, è alle vittime di violenza costrette a portare in grembo il figlio del proprio aguzzino, ma anche quelle che hanno un aborto spontaneo e non possono essere curate.
La Vicepresidente ha messo anche in guardia la popolazione: “Vi prometto che quando il Congresso approverà una legge per ripristinare le protezioni della Roe vs Wade (sentenza della Corte Suprema sull’aborto del 1977) come Presidente degli Stati Uniti la firmerò con orgoglio. Ma se Donald Trump dovesse essere rieletto firmerà un divieto nazionale sull’aborto. Capite? Nel suo progetto ci sarebbe un aborto nazionale; un monitor che controllerebbe le vostre gravidanze, i vostri aborti”, affermazione poi smentita da Trump che ha rivendicato l’aver consentito la libera scelta ai singoli Stati.
“Il Venezuela sotto steroidi”
Voltando pagina, i due candidati hanno dibattuto anche sull’immigrazione, in particolare dell’attraversamento dei confini in maniera illegale e le conseguenze. “Sono l’unica persona su questo palco che ha perseguito organizzazioni criminali transnazionali per il traffico di armi, droga ed esseri umani”, ha chiarito subito Harris, “Permettetemi di dire che il Congresso degli Stati Uniti ha presentato una proposta di legge sulla sicurezza che io ho sostenuto e che avrebbe messo 1.500 agenti di frontiera in più al confine per aiutare le persone che stanno lavorando lì in questo momento, cercando di fare il loro lavoro. Ci avrebbe permesso di arginare il flusso di fentanyl che entra negli Stati Uniti”.
Poi ha proseguito: “Quella proposta di legge avrebbe messo a disposizione più risorse per permetterci di perseguire le organizzazioni criminali transnazionali per il traffico di armi, droga ed esseri umani. Ma sapete cosa è successo da quella legge? Donald Trump ha preso il telefono, ha chiamato alcuni membri del Congresso e ha detto abrogate la legge. E sapete perché? Perché preferisce passare sopra il problema invece di risolverlo”.
Il Tycoon non ha esitato e ha tirato fuori il coniglio dal cilindro, mossa che gli è valso l’ennesimo fact checking della serata: “Guardate cosa sta succedendo alle città di tutti gli Stati Uniti, molte città non vogliono nemmeno parlarne, non solo Aurora, Springfield, ma molte città non vogliono parlarne perché sono veramente imbarazzate.
La situazione a Springfield: – gli immigrati, ndr – si stanno mangiando i cani della gente, stanno mangiando i gatti, stanno mangiando gli animali da compagnia, una vergogna. La ragione per cui la gente viene ai miei comizi è che vuole riprendersi il Paese. Rendere l’America di nuovo grande. Lei – Kamala Harris, ndr – sta distruggendo questo paese, se diventerà presidente l’America non avrà nessuna possibilità di successo. Non solo di successo: finirà per essere il Venezuela sotto steroidi”.
Clima e salute
E mentre Harris incalza sul voler costruire, anzi ricostruire, la classe media, supportare le startup con piani disegnati ad hoc e offrire supporto alle famiglie e ai giovani che vogliono acquistare la prima casa (con 25 mila dollari di bonus), e Trump promette di interrompere le politiche dannose per l’economia, a partire da quelle petrolifere promosse dall’attuale Governo USA, restituire benessere e grandezza agli Stati Uniti, il dibattito si inasprisce sulla crisi climatica e la questione sanitaria.
Sul primo punto, Harris parte dal presupposto che il suo avversario non creda nei cambiamenti climatici e che non abbia a cuore la salute del Pianeta. “Abbiamo investito un trilione di dollari in un’economia basata sull’energia pulita, mentre abbiamo anche aumentato la produzione nazionale di gas a livelli storici“, ha affermato la VP senza affanni, poi ha aggiunto: “La mia posizione è che dobbiamo investire in fonti di energia diverse, così da ridurre la nostra dipendenza dal petrolio straniero […] Abbiamo avuto il più grande aumento della produzione nazionale di petrolio nella storia“.
Trump non ha illustrato piani, né ha inteso intraprendere il discorso, ma ha chiarito come determinate scelte abbiano influito negativamente sul mercato dell’automotive spostando di netto l’attenzione.
E poi l’Obama Care che Trump avrebbe già voluto eliminare durante il primo mandato. Alla domanda su come ci avrebbe riprovato una seconda volta il candidato ha risposto in maniera superficiale, assicurando però che lo cambierebbe “solo se inventassero qualcosa di migliore e meno costoso […] Abbiamo concetti e opzioni per farlo, e ne sentirete parlare in un futuro non troppo lontano“. Arriva più diretta Harris che guarda con interesse a un sistema sanitario ‘For All’ gestito dal Governo e diversamente privatizzato.
In buona sostanza, tra slogan e botta e risposta risoluti, si è chiuso il primo e forse ultimo dibattito tra i due. Nell’attesa, e in assenza di nuovi confronti, metteremo su della buona musica, magari targata Taylor Swift, ammesso e non concesso che le vendite dei suoi dischi non subiscano una brusca frenata… Donald warns, Kamala appreciates.
Riconoscimento editoriale QubixStudio / Shutterstock.com ID Foto stock: 2502679275