Avrebbe potuto insegnare filosofia al liceo e con ogni probabilità sarebbe stato un docente amato e ricordato con affetto dai suoi studenti. Invece, Julio Velasco da La Plata, Argentina, è finito su una panchina, all’interno dei palazzetti di mezzo mondo, ad insegnare il gioco della pallavolo e ad alzare trofei. L’ultimo, il più bello, è sicuramente storico: il tanto atteso e agognato oro olimpico che la Federazione Italiana di Pallavolo aveva sempre cercato, sfiorato e mai raggiunto.
Meritatamente, la copertina dell’ultimo giorno dei Giochi di Parigi è tutta per Velasco e le sue ragazze, capaci di conquistare la medaglia più preziosa (la quarantesima della spedizione azzurra) annichilendo gli Stati Uniti con un netto, perentorio ed indiscutibile 3-0 (25-18, 25-20, 25-17).
Celebrare il successo con iperboli, neologismi ed appellativi è un gioco che agli italiani riesce molto bene. Soprattutto, come accaduto a Parigi, quando si raggiungono vette mai toccate prima. Nelle ore successive alla premiazione, Velasco è stato osannato come un profeta, santificato come Maestro ed etichettato come un vate. Il capolavoro resterà impresso nella memoria collettiva per sempre, ma la vera opera maestra del tecnico, che ha legato tante delle sue fortune all’Italia, si cela nel percorso e nelle pillole verbali che ha lasciato alle sue ragazze, agli addetti ai lavori, ai giornalisti e agli italiani.
7 mesi per costruire il tanto agognato successo olimpico
L’oro di Parigi è stato costruito in 7 mesi. Ci sono tecnici che chiedono tempo e cicli, mentre altri, come Velasco, ci riescono in pochissimo tempo. Non spiegano, ma agiscono e lavorano.
Il settantaduenne di La Plata aveva ereditato una squadra che all’ultimo Europeo si era classificata quarta e che aveva delle serie crepe interne. Tra l’ex CT Mazzanti e le sue ragazze qualcosa si era inceppato. Con Paola Egonu, la miglior giocatrice dei Giochi Olimpici secondo gli esperti, il rapporto si era addirittura incrinato, per non dire compromesso in maniera irrimediabile.
Velasco è riuscito ad aggiustare i cocci e a rimettere la punta di diamante del volley femminile azzurro al centro del progetto. Anzi, in un certo senso, ha alleggerito il carico di responsabilità che la classe ’98 di Cittadella doveva portarsi sulle spalle. Se da una parte ha creato più soluzioni offensive, dall’altra ha permesso ai muscoli della sua opposta di essere meno tesi e rigidi, quindi più incisivi.
Come rendere straordinario un gruppo già forte
Il suo arrivo, benedetto da molti, ha portato novità e una nuova mentalità. La prima, alla vigilia della Nations League vinta a Bangkok lo scorso 23 giugno (3-1 in finale contro il Giappone), è stata quella di nominare Anna Danesi come nuovo capitano della Nazionale. La scelta non ha destabilizzato l’ambiente, né tantomeno Myriam Sylla, colei che si è ritrovata degradata. Anzi, l’azzurra è stata votata come miglior schiacciatrice delle Olimpiadi, insieme alla talentuosa brasiliana Gabi. Le scelte di Velasco sono state accolte, ascoltate ed accettate. Pacificamente e silenziosamente, si potrebbe aggiungere.
Dopo aver contribuito alla costruzione della leggenda della cosiddetta “Generazione dei Fenomeni”, che ad Atlanta, nel 1996, sfiorò l’oro olimpico per due maledettissimi punti persi al quinto set (nonostante 71 palloni messi a terra, contro i 66 degli olandesi, l’Italia perse la finale olimpica con il punteggio di 3-2: 15-12, 9-15, 16-14, 9-15, 17-15), Velasco ha riportato nuovamente allo status di “straordinarie“ un gruppo di ragazze che, solo sulla carta, erano considerate dagli addetti ai lavori le migliori del Mondo. Ha reso Danesi e compagne autonome e autorevoli. Ovvero, capaci di decidere e di sentirsi importanti, tanto nel gioco quanto all’interno delle dinamiche di gruppo. Ognuna, come ha affermato anche chi ha giocato di meno, sapeva quello che doveva fare.
Gestire un gruppo, le emozioni, i momenti e gli errori
La gestione del gruppo è andata di pari passo con la gestione delle emozioni e degli errori. Velasco ha sempre ribadito che nello sport il dubbio è l’avversario più pericoloso. Ha fatto capire alle sue ragazze che, durante le fasi di un match, non c’è il tempo necessario per ragionare ed essere sicure al 100% della scelta fatta. L’aspetto più importante è che si agisca. Agire, però non significa non sbagliare. L’errore deve essere accettato, l’importante, come ha più volte sottolineato il CT olimpico, è sbagliare stando dentro a delle percentuali che non creino troppi danni.
Velasco ha chiesto e preteso il massimo dalle sue ragazze. Con ogni probabilità, i successi di Bangkok e Parigi nascono proprio da un’analisi di una sconfitta cocente, da quel 3-0 che la Polonia rifilò alle azzurre nel match inaugurale della VLN femminile.
Velasco: “Vedere sempre quello che manca è deleterio”
Ma c’è un ultimo, importante insegnamento che il Prof. Velasco ha lasciato a tutti gli sportivi ed anche a noi professionisti dell’informazione. Le parole risalgono all’8 agosto, tre giorni prima di scrivere la storia ed un giorno dopo la sconfitta dell’Italvolley maschile nella semifinale contro la Francia.
Bacchettando la cultura italiana ed il modo di fare informazione e comunicazione, Julio Velasco aveva rilasciato ai microfoni di Eurosport le seguenti parole:
“Bisogna smettere di parlare dell’oro che manca. Secondo me è deleterio, sia per la squadra maschile sia per tutto. Se si vede sempre quello che manca, allora l’erba del vicino è sempre più verde o gli altri sono più bravi perché hanno questo. Io credo che questa sia una filosofia di vita che non va. L’oro olimpico quando arriverà, arriverà. Non deve essere l’obiettivo, perché ci sono tante squadre forti. Si può vincere, si può perdere, l’importante è riuscire a dare il massimo”.
Parole di un uomo di grande spessore umano e sportivo, che avrebbe potuto insegnare filosofia a scuola e che invece si ritrovò in Italia, a Jesi per la precisione, su una geniale intuizione di Beppe Cormio, il decano dei direttori sportivi italiani di volley ed oggi Direttore generale dell’Associazione Sportiva Volley Lube.
IMMAGINE DI COPERTINA
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Author: Hamed Malekpour [1 luglio 2016]