Luglio in politica: dall’UE, agli USA, passando per le elezioni in Ruanda

A inizio anno, in un lungo editoriale, vi avevamo raccontato che sarebbe stato un 2024 ricchissimo per la politica internazionale: il 51% degli abitanti della Terra sarebbe andato al voto. In quella occasione, vi avevamo anche parlato di “profondi cambiamenti” che avrebbero sconvolto gli equilibri e messo in moto nuove dinamiche su diversi fronti, in particolar modo quelli sociale ed economico (clicca qui). 

Europee e Francia

In effetti, i primi sette mesi dell’anno hanno determinato nuovi scenari: le Europee di giugno non sono state partecipatissime in termini di affluenza, ma hanno visto un’importante virata a destra, così massiva da far riconsiderare le attuali formazioni di Governo in Paesi come Germania, Austria e Francia. 

In tal senso, Macron, preso atto dei risultati, ha chiamato lo scioglimento del Parlamento anticipato e convocato nuove elezioni per il 30 giugno e il 7 luglio. 

Le legislative, come ormai noto, hanno visto un rafforzamento dell’estrema destra, ma Jordan Bardella, il candidato Premier di Le Pen, non ha ottenuto la carica, né probabilmente i voti attesi e sperati. Allo stato attuale, a pochissimi giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Parigi, la Francia non ha un Primo Ministro (potrebbe restare in carica Attal fino alla fine dei Giochi), ma conta sulla ufficiale riconferma della Presidente dell’Assemblea Nazionale, Yaël Braun-Pivet, – arrivata anche con il sostegno della destra repubblicana e non senza polemiche -, cosa che conferma la suddivisione in tre blocchi (clicca qui per approfondire). 

Ampliando lo sguardo e in tema di riconferme, Ursula von der Leyen è di nuovo Presidente del Consiglio Europeo (con 401 voti a favore), Roberta Metsola è ancora Presidente del Parlamento Europeo (562 voti a favore). Insomma, a dirla così sembrerebbe cambiato poco o nulla. Ma la tornata elettorale di inizio estate ha spostato gli equilibri e sebbene alcune cose siano rimaste com’erano, altre sono profondamente mutate.

In primis, il rafforzamento delle destre, si veda la nuova conformazione dei Patrioti; secondo poi le dinamiche interne che hanno visto, ad esempio, l’Ecr di Giorgia Meloni non votare a favore della riconferma di von der Leyen perché, come ha spiegato la stessa Premier italiana al Corriere della Sera, “Ho schierato l’Italia nel Consiglio europeo di fine giugno astenendomi sul mandato a von der Leyen, suggerendo a tutti di tenere in considerazione l’indicazione emersa dalle urne. Giovedì, invece, ho schierato il mio partito, all’interno di un voto parlamentare, sul programma politico della prossima Commissione. È una distinzione fondamentale”.

E negli USA?

Mentre l’Europa fa chiarezza sui programmi politici e sull’approccio da adottare in materia di sicurezza, negli USA accade di tutto. In poco più di una settimana Donald Trump, durante un comizio in Pennsylvania, è stato sfiorato da una pallottola, Joe Biden ha annunciato che non si presenterà come possibile candidato dem alle elezioni e Kamala Harris ha intrapreso la scalata per subentrare all’attuale Presidente. Ma procediamo per gradi e torniamo alla metà di luglio. 

Il proiettile esploso dall’arma di Thomas Matthew Crooks, un giovane di appena vent’anni, ha colpito l’ex Presidente USA  a un orecchio. Crooks è stato abbattuto dai servizi segreti subito dopo la sparatoria. L’attentato ha contato una vittima e diversi feriti, ma non ha spento lo spirito patriottico del Tycoon che è ufficialmente il candidato alle Presidenziali dei repubblicani (la ratifica del ruolo è avvenuta a Milwaukee, durante la Convention).

Nel frattempo, i leader politici mondiali gli hanno espresso vicinanza, dichiarandosi fortemente colpiti per l’accaduto. I servizi segreti statunitensi, invece, hanno fatto mea culpa: “La missione solenne dei servizi segreti è proteggere i leader della nostra nazione – ha spiegato la direttrice dei Secret Service Kimberly Cheatle – il 13 luglio abbiamo.  Mi assumo la piena responsabilità per qualsiasi errore nella sicurezza“.

In un clima già estremamente complesso, guardando non solo all’attentato ma anche a quanto accade a livello internazionale tra conflitti, crisi ambientali ed economiche, si inserisce un ulteriore colpo di scena: dopo diverse smentite, Joe Biden ha ufficializzato che non sarà il candidato dem per le prossime elezioni.

Anzi, tramite note stampa e social, il Presidente USA ha fatto sapere che il nome di Kamala Harris potrebbe essere quello più adatto per ricoprire il ruolo e raccogliere la sfida. A seguito dell’annuncio, le donazioni (cristallizzate dopo le numerose gaffes pubbliche di Biden) sono tornate a fioccare (oltre 100 milioni raccolti in quattro giorni), così come la percezione positiva rispetto all’esito delle elezioni di una parte della platea di aventi diritto al voto (ve ne avevamo parlato qui!).

 

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 Anche se il nome di Harris ha ricevuto endorsement e sembra essere quello più papabile (stando a quanto riportato dall’Associated Press avrebbe già i delegati per ottenere la nomination), non vi è ancora l’ufficialità che sarà lei a riprendere la partita contro Trump dove Biden l’ha lasciata. Sarà solo dopo la Convention di agosto, che avrà luogo a Chicago, che si avrà una certezza. Ciò dettò la Vicepresidente si è già, anche se in maniera informale, lanciata in campagna elettorale. Si tratterebbe della prima donna, per di più multietnica, a ottenere forse la carica più importante al mondo. 

Ad ogni modo, The Donald si è detto sicuro, ancor di più dopo le ultime novità, di portare a casa la vittoria; Harris, dal canto proprio, ha mostrato sin da subito uno spirito battagliero, giurando di avere gli strumenti per insidiare il percorso di Trump. Certo è che il tempo corre e che Elon Musk ha già promesso 45 milioni di dollari alla campagna del candidato dell’Elefantino. Una sfida non solo affascinante, ma determinante per quel che riguarda gli equilibri politici mondiali. 

Politica in Ruanda: Kagame fa jackpot

La notizia è questa: Paul Kagame è stato rieletto in Ruanda (Fpr – Fronte Patriottico Ruandese) con il 99% dei voti. Un plebiscito. Sia chiaro, c’è un motivo, anzi diversi: vicepresidente e ministro della difesa Kagame è stato rieletto per ben tre volte; a lui viene riconosciuto il merito di un importante lavoro di crescita che si traduce nello sviluppo di nuove costruzioni e infrastrutture.

Altresì, si fa riferimento anche a un potenziamento importante nei campi, ad esempio, della sanità e dell’istruzione. C’è però da aggiungere anche che non si tratta di un Paese in cui vige la piena libertà di espressione, né per quel che riguarda la popolazione, né i media. Insomma, un cocktail di repressione e benefici che porta a un’ubriacatura di voti.

 

Riconoscimento editoriale: Melnikov Dmitriy / Shutterstock.com

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