Chi pensava che con l’avvento dei social e dello streaming la tv perdesse appeal, tanto da diventare obsoleta, deve ricredersi. Gli ultimi dati raccolti e diffusi dal Censis nel 19° Rapporto sulla comunicazione, promosso da Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Windtre, presentato l’11 marzo a Roma da Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, parlano chiaro: nel 2023 il 95,9% degli italiani ha guardato la televisione. Un risultato importante nell’era biomediatica. Cresce la tv satellitare, esponenziale invece il boom della mobile tv: dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 33,6% di oggi (ovvero più di un terzo della popolazione). Dati estremamente negativi per la carta stampata, qualche segno di ripresa per l’editoria.
Rapporto Censis: la radio resiste
Se la televisione conferma un primato in termini di preferenze, la radio, sempre più ibrida, ha registrato una lieve flessione: – 1,1% di radioascoltatori rispetto al 2022. Tuttavia, il segno meno va contestualizzato: la percentuale di utenti che ascolta la radio si attesta al 78,9%, un numero elevato. Va fatta un’ulteriore considerazione: la radio ascoltata in casa, attraverso quello che può definirsi l’apparecchio tradizionale, conta un calo del -2,4%; diversa invece la questione inerente all’autoradio che registra un 69,1% di utenti, confermandosi su livelli prepandemici.
Va altresì aggiunto che, come per ogni media tradizionale, anche la radio ha dovuto adattarsi ai tempi e vivere anche attraverso internet. In tal senso, il Censis riferisce che il 18,2% degli utenti ascolta le trasmissioni tramite pc, il 24,1% utilizzando un altro dispositivo, ovvero lo smartphone.
Internet
Inevitabilmente, ciò che riguarda lo spazio digitale e i device che lo ospitano stanno invece vivendo un momento di consolidamento. Tra il 2022 e il 2023 si è registrato un potenziamento dell’impiego di internet da parte degli italiani (l’89,1% di utenza, con una differenza positiva di 1,1 punti percentuali). Inoltre, il Rapporto evidenzia una sovrapposizione quasi perfetta con quanti utilizzano gli smartphone, ovvero l’88,2%, e molto prossima a quanti sono gli utenti che utilizzano i social network, che si traduce nell’82,0%.
La crisi della carta stampata
Una nota particolarmente stonata è rappresentata dalla carta stampata. Che non stesse vivendo un periodo florido era chiaro, ma i dati, anno dopo anno, indicano una crisi sempre più profonda da cui pare impossibile uscire. Basti pensare che i quotidiani cartacei nel 2007 erano letti dal 67,0% degli italiani, numero che si ridimensiona e scende al 22,0% nel 2023 (con una differenza pari a -3,4% in un anno e a -45,0% in quindici anni).
C’è però un dato singolare, che fa riflettere: anche gli utenti dei quotidiani online diminuiscono al 30,5% (-2,5% in un anno), mentre sono stabili quanti utilizzano i siti web d’informazione (il 58,1% come già nel 2022, ma cresciuti del 21,6% dal 2011). A ben guardare, dunque, la questione riguarderebbe una disaffezione al mondo dell’informazione tradizionale, ma non solo. L’ampissima offerta di canali, che consente aggiornamenti continui e costanti, ha allontanato l’utenza dai quotidiani, digitali e cartacei. Va quindi aperta una parentesi sulla possibilità concreta che gli utenti ottengano così un’informazione superficiale, talvolta anche alterata dalle fake news e dai titoli clickbait.
L’allontanamento dal quotidiano rappresenta sempre più la volontà dei fruitori di selezionare il tipo di notizie da leggere riportate con il tenore preferito: un meccanismo avviato dall’algoritmo di alcuni social, su tutti Facebook, che ha ramificato fino a condizionare le modalità con cui gli utenti scelgono di informarsi.
La parola conta
Il Censis, sul tema, offre ulteriori spunti di riflessione. Nel Rapporto fa riferimento anche a quanto contino le parole per gli italiani e all’utilizzo del politicamente corretto rispetto ai media. Il 76,9% della popolazione è favorevole a una regolamentazione del linguaggio dei media quando si parla dell’aspetto fisico delle persone, il 74,0% nel caso di differenze religiose e di genere, il 73,7% quando si tratta di orientamento sessuale, il 72,6% se è coinvolta l’identità di genere, il 72,5% in rapporto alle differenze etniche e culturali.
Inoltre, per il 75,8% della popolazione i media non dovrebbero mai usare espressioni che da alcune categorie di persone possono essere ritenute offensive o discriminatorie. Ma attenzione, perché fuori dalla sfera digitale, out dal commento al post, e dunque nella realtà il 69,3% degli italiani risulta infastidito dal fatto che ci sia sempre qualcuno che si offende se si pronuncia qualche frase ritenuta inopportuna.
Vince il libro cartaceo, l’ebook non è mai decollato
Buone notizie, invece, per il mondo libro. Nonostante continuino a calare i lettori, i numeri offrono qualche dato con il segno più. Gli italiani che leggono libri cartacei sono il 45,8% del totale (+3,1% rispetto allo scorso anno ma -13,6% rispetto al 2007). La ripresa, però, non riguarda i lettori di e-book che rimangono stabili al 12,7% (-0,6%).
Social e app di messaggistica
La tv resta amica degli italiani, ma se dovessero scegliere tra una televisione e uno smartphone? Probabilmente non ci sarebbe storia. Il 93% degli italiani utilizza Whatsapp, il 79,3% YouTube, il 72,9% Instagram, il 56,5% TikTok.
Vivono un momento di leggera flessione, così come riporta il Censis, Facebook, Spotify e X in relazione agli under 30; mentre colano a picco Telegram (passato dal 37,2% del 2022 al 26,3%) e Snapchat (dal 23,3% all’11,4%).
Censis: l’Intelligenza artificiale e l’imprevedibilità del futuro
L’IA genera ancora un forte sentimento di smarrimento. Il 74% degli italiani ritiene che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sia imprevedibile. In tal senso, dunque, c’è chi guarda al futuro con ottimismo e chi invece è allarmista rispetto a quanto potrà accadere nei prossimi anni.
Tra gli ottimisti, il 73,2% pensa che le macchine non potranno mai sviluppare una vera forma di intelligenza come gli umani; tra i pessimisti si colloca il 63,9% che teme che sarà la fine dell’empatia umana. Decisamente allarmisti anche quanti credono che aumenteranno le notizie non verificabili, di conseguenza, ed è uno dei maggiori dilemmi di questo periodo, non si saprà più distinguere il vero dal falso, con grandi rischi per le democrazie (68,3%) e quanti pensano che sarà la fine della privacy dei cittadini perché saremo tutti controllati dagli algoritmi (66,3%).
In effetti, proprio nelle ultime settimane, è più acceso che mai il dibattito sull’utilizzo del deepfake (hanno rappresento un caso i video social che vedevano per protagonisti il giornalista Fabio Fazio e Piero Ferrari, o meglio le loro fattezze utilizzate in maniera illegale per pubblicizzare investimenti), che allo stato attuale è parzialmente moderato dall’AI act.
E se anche Google fosse in balia dell’intelligenza artificiale generativa?
Inoltre, l’intelligenza artificiale generativa sta portando a un calo della qualità dei contenuti diffusi online. Questo almeno è quanto decretato da un team di esperti tedeschi dopo aver condotto un’indagine dal titolo “Google sta peggiorando? Un’indagine longitudinale sul SEO Spam nei motori di ricerca”.
Sintetizzando il tipo di approccio utilizzato per lo studio, gli esperti hanno spiegato: “Il nostro primo contributo è un’indagine sulle proprietà SEO delle pagine di recensioni comparative trovate nelle pagine dei risultati di Google (per procura di Startpage), Bing e DuckDuckGo per 7.392 query di recensioni di prodotti. Confrontiamo questi risultati con quelli del motore di ricerca di riferimento BM25 ChatNoir e del motore di ricerca grezzo ClueWeb22. Scopriamo che la maggior parte delle recensioni di prodotti di alto livello nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca commerciali (SERP) utilizza il marketing di affiliazione e che una quantità significativa è costituita da vero e proprio spam di recensioni di prodotti SEO”.
Dunque, proseguono: “Il sistema di base recupera entrambe le cose a percentuali molto più basse, più coerenti con il basso tasso di base complessivo di marketing di affiliazione nel ClueWeb22 nel suo complesso. Troviamo inoltre forti correlazioni tra il posizionamento nei motori di ricerca e il marketing di affiliazione, nonché una tendenza verso contenuti semplificati, ripetitivi e potenzialmente generati dall’intelligenza artificiale”
“Il nostro secondo contributo – concludono – è un’analisi longitudinale della competizione in corso tra SEO e i principali motori di ricerca nell’arco di un anno. Scopriamo che i motori di ricerca intervengono e che gli aggiornamenti del ranking, soprattutto da parte di Google, hanno un effetto positivo temporaneo, anche se i motori di ricerca sembrano perdere il gioco del gatto e del topo che è lo spam SEO” (CLICCA QUI PER LO STUDIO COMPLETO).
La porta sul futuro è sempre più aperta, ma forse è ancora davvero impossibile scrutarvi oltre.