Lo scorso maggio Neuralink, la startup di neurotecnologie fondata, tra gli altri, dall’impegnatissimo Elon Musk, annunciava di aver avuto l’approvazione dalle autorità statunitensi di settore tra cui la Fda (Food and Drug Administration), per condurre sperimentazioni innovative sugli esseri umani relative alle interfacce neurali impiantabili. Vale a dire: una tecnologia che consente al cervello di interfacciarsi con le macchine attraverso l’impianto di un chip.
Lo scopo è consentire a persone che abbiano malattie cerebrali o gravi lesioni cerebro spinali e, contestualmente, difficoltà motorie e cognitive, di ottenere importanti miglioramenti in termini di qualità della vita, utilizzando solo i pensieri.
Il 19 settembre 2023 Neuralink apriva al reclutamento: chiedeva, infatti, alle persone con paralisi, Sla o quadriplegiche di sottoporsi come volontarie al primo trial clinico sugli umani.
Durante la giornata di ieri, 30 gennaio, Musk ha riferito su X (e non poteva essere altrimenti) che il primo impianto è stato effettuato ed è andato a buon fine. Telepathy, questo il nome del chip, è stato ufficialmente stabilito nel cervello di un volontario.
Un percorso, dunque, rapido, anche se le sperimentazioni sugli animali sono durate anni.
L’annuncio di Elon Musk
“Il primo essere umano ha ricevuto un impianto ieri e si sta riprendendo bene. I risultati iniziali mostrano un promettente rilevamento dei picchi neuronali. Il primo prodotto di Neuralink si chiama ‘Telepathy’ – ha spiegato Musk su X -. Consente il controllo del proprio telefono o computer semplicemente col pensiero. Gli utenti iniziali saranno coloro che hanno perso l’uso degli arti“.
Un tono, il suo, sensazionalistico. Anche perché nel messaggio il patron di Tesla ha coinvolto Stephen Hawking: “pensate se lo avesse avuto a disposizione” (in riferimento al chip e a cosa avrebbe potuto recuperare il fisico se avesse potuto beneficiare di tale tecnologia), una nota di colore all’impresa scientifica che non tutti hanno apprezzato.
Tralasciando la forma, il commento annuncia un cambiamento che, se letto superficialmente, sarebbe epocale. In effetti, la tecnologia messa a punto è interessante, ma non così originale come la presenta Musk. Sono diverse le aziende che hanno prodotto e impiantato dispositivi molto simili, come ad esempio l’École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL), in Svizzera, che, contrariamente a Neuralink, ha pubblicato i risultati di quanto sperimentato sulla rivista Nature. Oppure, la Blackrock Neurotech, che ha sede nello Utah, che ha impiantato la sua prima di numerose interfacce cervello-computer nel lontano 2004.
Nessuna novità
Come spiega la professoressa Anne Vanhoestenberghe del King’s College di Londra alla BBC è però importante il successo del primo test “una pietra miliare significativa”. Ben venga, dunque, il corretto funzionamento del chip Telepathy.
Vanhoestenberghe aggiunge anche che sebbene non si tratti di un unicum, il prodotto e la metodologia applicata da Neuralink vanno ad inserirsi in un contesto ristretto. “Per la comunità delle interfacce cervello-computer – prosegue la docente del King’s College di Londra – dobbiamo collocare questa notizia nel contesto in cui, mentre ci sono molte aziende che lavorano su prodotti interessanti, ci sono solo poche altre aziende che hanno impiantato i loro dispositivi negli esseri umani, quindi Neuralink si è unita ad un gruppo piuttosto piccolo“. Una lancia democraticamente spezzata a favore dell’operato di Neuralink.
Resta inteso che il successo di un processo così complesso “va valutato sul lungo periodo”. Perché “sappiamo che Elon Musk è molto abile nel generare pubblicità per la sua azienda”, conclude Vanhoestenberghe.
Anche Donatella Mattia, neurologa e ricercatrice nel campo delle interfacce cervello-computer della Fondazione Santa Lucia IRCCS, intervenuta sul tema durante la trasmissione radiofonica Radio3 Scienza evidenzia: “Musk dichiara che la sua tecnologia è in grado di rilevare dei potenziali spikes neuronali, in termini tecnici potenziali d’azione. Questa è una cosa che è possibile fare da vent’anni, non è una novità. Tutte le interfacce cervello-computer fanno questo”.
Quanto invece alle scarsissime informazioni diffuse sulla tecnologia utilizzata spiega: “è tutto strettamente confidenziale, trattandosi di una compagnia privata, ma Neuralink deve aver condiviso le informazioni principali con la FBI. Ma noi non abbiamo dati sufficienti sulla loro tecnologia, non sappiamo se avrà successo o meno”.
Neuralink tra luci e ombre
La storia di Neuralink presenta diverse ombre. Dietro gli accecanti riflettori accesi da Musk sui primi risultati, c’è un mondo. Innanzitutto, una notizia diffusa dall’agenzia Reuters: la società a inizio gennaio sarebbe stata multata per aver violato le norme del Dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti (DOT) in merito alla movimentazione di materiali pericolosi.
Poi c’è una questione spinosa che riguarda l’impiego degli animali nella sperimentazione. O meglio, una comunicazione fumosa sulle condizioni di salute degli animali coinvolti. Alcuni mesi fa, i registri veterinari che riguardavano in particolar modo le scimmie sottoposte ai test riferivano che gli impianti avevano causato agli animali in questione paralisi, convulsioni e gonfiore cerebrale. Un dettaglio che sembrerebbe non essere stato mostrato agli investitori. Va però aggiunto che lo scorso 10 settembre 2023 Musk ha dichiarato: “nessuna scimmia è morta a causa di un impianto Neuralink” e ha aggiunto che sono state considerate per le sperimentazioni le scimmie terminali, che quindi non avevano più speranze di vita.
E poi arriva l’intelligenza artificiale…
I pensieri. Telepathy, e non è affatto un caso che il dispositivo si chiami così, rappresenta il primo passo sulla luna. Perché forse i pensieri, quelli che ricoprono un ruolo fondamentale nella complessa comunicazione tra cervello e macchina, non sono e non saranno gli unici protagonisti.
La sede di Neuralink è posta accanto a quella di OpenAi (co-fondata dallo stesso Musk). Scienza, medicina robotica e intelligenza artificiale. Un caso? Non del tutto. Dal punto di vista logistico ha senso che le due realtà siano collocate nello stesso luogo. Tuttavia, è la posizione associata ad alcuni riferimenti di Musk che fa pensare ci sia dell’altro.
Secondo il numero uno di X questi chip consentiranno all’essere umano di raggiungere una vera e propria simbiosi con l’intelligenza artificiale. Un’affermazione che spalanca le porte su un futuro, a quanto pare, non così lontano. Ma l’intento sarebbe prettamente di carattere medico, ovvero restituire la mobilità virtuale a chi ha una paralisi o la vista a chi deve fare i conti con la cecità. E se questi potenziamenti non si limitassero alle persone con disabilità?
X
Non va dimenticato che Musk lavora anche ai Tesla Bot, ovvero a dei robot umanoidi. Lo scorso dicembre Tesla ha condiviso un nuovo video in cui presentava Optimus Gen 2, quindi la seconda generazione del robot. Questa può maneggiare e cucinare un uovo (così come si vede in video), compiere movimenti complessi che la prima generazione non era in grado di fare e riconoscere le emozioni umane.
I Tesla Bot avrebbero il compito di supportare, e mai sostituire, come spiegavano gli ingegneri di Tesla, le donne e gli uomini nei lavori più faticosi e di consentire una nuova armonia tra macchine e umani.
Un mondo, dunque, quello immaginato da Elon Musk che pronostica l’umanizzazione delle macchine e la robotizzazione dell’essere umano? X.
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