È successo tutto al minuto 33 di Udinese-Milan. Mike Maignan, il portiere dei rossoneri, si è sfilato i guantoni e ha lasciato il campo di gioco seguito dai compagni. Un altro episodio di razzismo, l’ennesimo, nel mondo sportivo. Dagli spalti della Dacia Arena sono giunti all’orecchio del giocatore insulti, ululati e discriminazioni. L’arbitro Maresca ha sospeso il match per cinque minuti. Poi la gara è proseguita e ha visto il Milan trionfare sui padroni di casa.
Quel che resta, tuttavia, è uno scenario sconfortante. È il 2024 e ancora è necessario sensibilizzare sul tema.
Al termine della partita, Maignan ha riferito ai microfoni di Sky Sport: “È successo qualcosa che non deve succedere negli stadi. Ho sentito versi di scimmia. Non è la prima volta che succede. Siamo usciti dal campo per far capire all’arbitro e al pubblico quello che succedeva. Ho sentito il sostegno di tutti”. E a proposito di solidarietà, il mondo del calcio tutto ha espresso la propria vicinanza al giocatore. Dai club, ai colleghi fino ad arrivare ai tifosi; i social sono stati invasi dall’hashtag #notoracism e da parole di conforto e supporto.
Contestualmente anche gli organismi sportivi, nazionali e internazionali, e le istituzioni hanno tenuto a puntualizzare lo sdegno per l’episodio.
Un daspo a vita
Oltre agli immediati comunicati stampa diffusi dal Milan e dalla Serie A, anche l’Udinese, attraverso le parole dei propri dirigenti, ha inteso stigmatizzare il comportamento dei tifosi che hanno acceso la miccia.
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“Sono qui a Udine da mesi e questo è un popolo straordinario. È il club più multietnico possibile, è una città che dà esempio a tutti di integrazione ed è chiaro che prenderemo dei provvedimenti contro la o le persone artefici di questi gesti”, ha promesso Federico Balzaretti, responsabile dell’area tecnica dell’Udinese.
Il direttore generale dei bianconeri, Franco Collavino, ha poi aggiunto: “Un Daspo ha durata limitata, ma il club può decidere di escludere un tifoso da uno stadio per un tempo superiore. Lavoreremo per escluderli per sempre dallo stadio, a vita“.
Poi ha aggiunto: “Siamo convinti di andare alla ricerca dei responsabili, non possono che essere due o tre persone. Non ci sono stati cori, che non sono stati percepiti né dall’arbitro né dalla Procura. Sono uno, due, tre sciagurati, e questo basta perché sia una cosa gravissima. Abbiamo già iniziato a guardare le immagini delle telecamere dello stadio, c’è anche da ascoltare l’audio“.
Udinese-Milan: l’intervento di istituzioni e organismi
Non si è fatto attendere l’intervento delle istituzioni. Il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, su X ha subito commentato: “Il mio, il nostro no al razzismo non può, non deve, non vuole avere il colore di una maglia o della pelle, non riguarda una religione o un popolo o una città: vale sempre e ovunque. Come il rispetto: sempre e ovunque. E chi sbaglia ne deve rispondere. Le nostre scuse a Mike Maignan”.
Il leitmotiv che traina l’intero dibattito: chi sbaglia ne deve rispondere. Anche Gabriele Gravina, interrogato dal Tg1 sulla vicenda, ha chiarito: “Le nostre norme del 2019 hanno funzionato, nessuno ha girato il proprio sguardo dall’altra parte, vuol dire che le norme hanno tenuto, ora bisognerà capire quali saranno le sanzioni“.
Sulla sospensione decretata dal fischio di Maresca, il numero uno della FIGC ha spiegato: “La sospensione è un messaggio molto forte, ma la sospensione o la chiusura definitiva di una partita di calcio con migliaia di spettatori allo stadio, è un problema di ordine pubblico, non spetta a noi e noi non vogliamo sostituirci a chi ha il dovere, l’obbligo e il diritto di gestire l’ordine pubblico“.
Il NOIF
A proposito di norme e ordine pubblico, nell’art.62 (contenuto nella sezione Ordinamento dei campionati e delle gare) del NOIF, ovvero del documento ufficiale inerente alle Norme Organizzative Interne della FIGC, si chiarisce che “Le società hanno l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti idonei ad impedire che lo svolgimento della gara sia disturbato dal suono di strumenti che comunque rechino molestia, dal lancio e dallo sparo di materiale pirotecnico di qualsiasi genere e che durante la gara si verifichino cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica”.
Resta, però, poi da applicare la modifica all’art.62 approvata dal Consiglio Federale che recita: “su segnalazione del responsabile dell’ordine pubblico in servizio allo stadio o dei collaboratori della Procura Federale in caso di cori o striscioni razzisti e discriminatori, viene introdotta l’interruzione temporanea della gara ad opera dell’arbitro e viene disposto che l’annuncio al pubblico venga dato a gioco fermo (con i giocatori al centro del campo)”. Dunque, quanto è accaduto lo scorso sabato durante il match tra Udinese e Milan.
Sul tema dei provvedimenti è intervenuto anche Gianni Infantino, Presidente FIFA, che in un lungo post ha spiegato: “Gli eventi di sabato a Udine e Sheffield sono assolutamente ripugnanti e del tutto inaccettabili. Non c’è posto per il razzismo né per altre forme di discriminazione, nel calcio così come nella società. I giocatori interessati da quanto accaduto sabato hanno il mio pieno supporto”.
Poi ha tuonato: “È necessario che TUTTE le parti interessate agiscano, a partire dall’istruzione nelle scuole, affinché le future generazioni comprendano che questo non è parte del calcio né della società. Oltre alla procedura a tre fasi, va comminata la sconfitta a tavolino per le squadre i cui tifosi si siano resi protagonisti di atti di natura razzista […] Una volta per tutte: no al razzismo! No ad ogni forma di discriminazione!”
Perché succede ancora?
Una regolamentazione esiste, ed è chiara anche la volontà di applicarla da parte di tutti gli organi competenti e di fare ulteriori passi in avanti. Resta tuttavia da comprendere perché ancora il supporto alla propria squadra debba riguardare la derisione di quella avversaria sfociando nella discriminazione e nella violenza verbale e fisica (come nel caso della bottiglia di vetro lanciata da un tifoso laziale che ha colpito Edoardo Bove durante l’ultimo derby in Coppa Italia).
La risposta, forse, è nelle parole di Maignan. Il portiere del Milan, dopo la gara, ha pubblicato un lungo post sulla propria pagina Instagram ricordando, a tutti, che ad essere stato aggredito “è l’uomo, è il padre di famiglia”. Il senso è tutto qui: ricordarsi che dietro la maglia c’è una persona. Un tema che ricorre anche sui social quando si parla di violenza. Dietro un nickname c’è qualcuno che scrive e c’è qualcuno che legge. Che sia seduto in metropolitana o sul divano di casa propria; ci sono un essere umano che scrive e un essere umano che legge.
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Un discorso, quello del portiere rossonero, che diventa universale e applicabile a diverse circostanze che tratteggiano la società attuale: “Oggi un intero sistema deve assumersi le proprie responsabilità: Gli autori di questi atti, perché è facile agire in gruppo nell’anonimato. Gli spettatori che erano in tribuna, che hanno visto tutto, che hanno sentito tutto ma che hanno scelto di tacere, siete complici. […] È una lotta difficile, che richiederà tempo e coraggio. Ma è una battaglia che vinceremo”.
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