È un lungo, lunghissimo martedì per l’Islanda. Le donne hanno incrociato le braccia, astenendosi dal lavoro e dagli “obblighi” domestici. Come 48 anni fa, il 24 ottobre diventa ancora una volta la giornata della protesta. Anche la premier, Katrin Jakobsdottir, si è schierata con le 30 organizzazioni che hanno indetto lo sciopero per far riflettere l’opinione pubblica sul gender pay gap (differenze salariali tra uomini e donne) e sulle violenze sessuali e di genere registrate nel Paese.
Il 24 ottobre 2023 come il 24 ottobre 1975
Non è il 24 ottobre 1975 ma i motivi della protesta sono parzialmente gli stessi. La disuguaglianza salariale e le ingiustizie, così come l’importanza del lavoro femminile per la società e l’economia dell’isola, sono temi molto sentiti dalle lavoratrici. 48 anni fa, i principali organismi sulla tutela dei diritti delle donne organizzarono il cosiddetto kvennafrí, una giornata di riposo per tutte le donne.
All’epoca si fermò gran parte dell’industria ittica, vennero meno alcuni servizi assistenziali e nessuna islandese si prese cura della casa, dei figli e degli anziani. La parola sciopero non fu usata per evitare ripercussioni o per mettere in difficoltà chi aveva una situazione precaria, ma in realtà quel venerdì 24 ottobre 1975 fu a tutti gli effetti una giornata di astensione collettiva dal lavoro. Secondo le cronache dell’epoca, il 90% delle lavoratrici e delle inoccupate protestarono per tutelare i loro diritti.
Quell’episodio non rimase fine a sé stesso. Diede avvio ad una stagione di riflessione e di riforme, che culminò 5 anni più tardi con l’elezione di Vigdis Finnbogadottir, la prima donna nel mondo a ricoprire la carica di presidente di una Nazione.
Il kvennafrí e la stagione delle riforme
L’eco del kvennafrí si ripercosse anche nei decenni successivi e si fa sentire ancora oggi, nonostante l’Islanda abbia cercato in tutti i modi di livellare o annullare il gender gap nel lavoro. Nel 1981, ad esempio, il Governo estese a 3 mesi il congedo di maternità pagato, per poi alzarlo a 6 mesi nel 1988. 12 anni più tardi, nel 2000, l’Islanda introdusse il congedo parentale condiviso. Da quel momento, i padri e le madri possono usufruire di un congedo di tre mesi a testa, non trasferibili (se uno dei due genitori rinuncia ad un mese, l’altro non può aumentare il suo periodo di assenza dal lavoro), per prendersi cura del nascituro.
Dal 2018, ogni tre anni, le aziende con almeno 25 dipendenti impiegati a tempo pieno devono certificare al governo di pagare lo stesso stipendio a uomini e donne che svolgono le stesse mansioni.
World Economic Forum: Islanda, un Paese all’avanguardia per la parità di genere
Se un Paese all’avanguardia protesta, vuol dire che la strada per raggiungere l’obiettivo è ancora lunga. Da almeno tre lustri, il World Economic Forum inserisce consecutivamente l’Islanda in vetta alla classifica de The Global Gender Index. Il ranking dell’isola dell’Europa settentrionale nel 2023 è di 0.912, ovvero molto vicino a quel valore di 1 che rappresenta la parità di genere. Rispetto al risultato dello scorso anno, la situazione è migliorata di soli 0.004 punti. Il punteggio di 0.912, tuttavia, permette all’Islanda di stare davanti alla Norvegia (0.879) e alla Finlandia (0.863).
L’Italia, invece, si trova al 79° posto della classifica (0.705 punti), con una condizione che in un anno è peggiorata di 0.015 punti e di 16 posizioni (l’Italia, lontanissima dall’Islanda, si ritrova davanti alla Mongolia e dietro a Georgia, Kenya ed Uganda).
Perché lo sciopero, allora?
Le classifiche e gli indici non sembrano rispecchiare le idee delle donne islandesi che nella giornata odierna hanno incrociato le braccia. La situazione di sperequazione, come sottolineano le organizzatrici delle sciopero, è ancora molto forte. Il gap salariale tra uomini e donne si aggirerebbe, in alcuni ambiti professionali, intorno al 21%.
Il gesto eclatante, organizzato proprio in occasione della ricorrenza del kvennafrí, ha causato disagi nel settore della scuola (su 100 lavoratori delle scuole materne, 94 sono donne; ma anche negli altri gradi dell’istruzione la presenza femminile è massiccia), nella sanità (nell’ospedale universitario nazionale, il più grande del Paese, l’80% dei lavoratori è di sesso femminile) e soprattutto nelle imprese delle pulizie, uno di quei rami lavorativi che più si lamenta per gli stipendi bassi.
Il penultimo martedì di ottobre lascerà in ogni caso un segno tangibile nello sviluppo delle politiche economiche e sociali del Paese. Se anche la premier Jakobsdottir è scesa in piazza, allora vuol dire che lo sciopero darà vita ad una nuova stagione di riforme.
Gender pay gap e violenze tra i motivi
Il gender pay gap non è solo l’unico motivo per cui le lavoratrici islandesi hanno protestato. C’è un altro fatto sociale molto rilevante che necessita di interventi e di misure forti: la violenza. Il 40% delle donne ha subito abusi sessuali o è stata vittima di violenza.
La lotta islandese per affermare la parità di genere potrebbe aver subito un’accelerazione proprio in questo 24 ottobre 2023.