Rischio contagio economico per lo scoppio della bolla immobiliare cinese

L’allarme arriva dalla Cina. La bolla edilizia del gigante asiatico è scoppiata e potrebbe innestare una crisi economica con ripercussioni a livello globale. Il rischio di un nuovo caso Lehman Brothers è reale. Nel 2008, quando ci fu il crack di una delle più grandi banche statunitensi, si innescò un effetto domino che nel giro di due anni contagiò gli Stati Uniti e poi l’Europa. Anche per questo motivo i mercati sono in subbuglio. Le borse tremano e fanno segnare chiusure in negativo, soprattutto in quelle Nazioni che hanno rapporti economici stabili con Pechino. Francoforte e Piazza Affari, ad esempio, nell’ultimo mese stanno registrando un trend passivo del 4%. Peggiore, invece, la situazione della Banca di Hong Kong.

Un effetto domino che dall’edilizia travolge la finanza

Ad agitare i mercati è stato un déjà-vu: la richiesta di Evergrande di appellarsi al Capitolo 15 della legge fallimentare statunitense. Il colosso immobiliare cinese, schiacciato dal peso di un debito insostenibile, vale a dire oltre 300 miliardi di dollari, chiede alle autorità di Washington protezione dalle richieste dei creditori e tempo per sviluppare un piano di rientro, in modo da ristrutturare il debito contratto sul suolo americano.

Il gruppo di Shenzen ha diramato anche una nota con la quale intende chiarire che la società sta portando avanti la sua ristrutturazione del debito offshore come previsto e che l’ex capitolo 15 non comporta istanza di fallimento. Intanto, nonostante le flebili rassicurazioni, il titolo ha perso l’1% e l’1,7% alle borse rispettivamente di Shanghai e Shenzhen. Ad Hong Kong, invece, è sospeso dalle contrattazioni dal mese di marzo 2022.

Da 5 anni si prevedeva lo scoppio della bolla

Gli analisti e gli esperti di finanza non sono rimasti sorpresi dalla bolla cinese. Da almeno cinque anni temevano il suo scoppio. Lo sviluppo immobiliare nelle periferie delle città del gigante mondiale non poteva continuare a quel ritmo, soprattutto con un’economia che dopo il covid non è ripartita come il Governo di Pechino auspicava. Nonostante l’industria manifatturiera non sia più in fase di push, per quanto le esportazioni siano in segno meno e la disoccupazione giovanile a percentuali impensabili fino ad una decina di anni fa, case, palazzi e grattacieli sono stati edificati anche in assenza di compratori. Se nel 1990 lo spazio medio vivibile per un cittadino cinese era di 7,1 metri quadrati, nel 2022 ha raggiunto i 48,7 metri quadrati.

Il boom economico del Dragone si è attenuato. Le vette di crescita del PIL dell’8% annuo, toccate anche grazie al traino dell’edilizia, che vale il 22% del PIL, oggi non possono essere mantenute. Pure la crescita del 5%, sbandierata dal Governo per il 2023/2024, deve essere rivista al ribasso.

La crisi del mercato immobiliare sta travolgendo tutti. L’effetto domino interessa sia i costruttori, che dovranno rivedere i loro piani di sviluppo edilizio per i prossimi due decenni, sia i finanziatori e i creditori. A risentirne sono altresì le piccole e medie imprese e gli investitori. Hanno affidato i loro soldi e i loro risparmi ai trust finanziari che promettevano rendimenti altissimi, ossia superiori al 10%.

Come vuole arginare la crisi Pechino?

Per contrastare la valanga, Pechino sta attuando politiche economiche tradizionali: riduzione dei tassi di interesse per l’acquisto di case e difesa del cambio dello yuan. Secondo gli analisti, invece, servirebbe un’ingente iniezione di denaro nell’economia ed una ristrutturazione dei valori del mercato immobiliare. Da un lato, si va incontro al rischio di inflazione o alla diminuzione del valore della valuta. Dall’altro, invece, si registrerebbero perdite pesanti per chi è coinvolto.

Le conseguenze, insomma, potrebbero essere dolorose per tutti. Tanto da un punto di vista economico per i mercati occidentali, quanto finanziario per quello asiatico.

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