Unico, irripetibile, inimitabile ed immortale. Un giant, direbbero gli anglofoni. Un gigante dello sport, il calcio nel suo caso, ma non solo, diremmo noi. Un campione capace di vincere tutto nella sua gloriosa carriera ed un Uomo, con la U maiuscola, che, a causa di un destino baro e beffardo, ci ha lasciati troppo presto. 70 anni fa, il 25 maggio 1953, a Cernusco sul Naviglio nasceva il libero per antonomasia: Gaetano Scirea.
Se oggi viene ricordato da tutto il mondo dello sport, e non solo dal suo club, vuol dire che il suo passaggio terreno ha lasciato un segno tangibile. La sua figura e la sua guida, poi, farebbero davvero comodo al calcio odierno, anche se lui non si riconoscerebbe più in un sistema che declina la parola valore nella sua accezione economica.
Scirea, Campione in campo e fuori
Capitano della Juventus e della Nazionale, Scirea non può essere ricordato solo come un calciatore professionista che scrisse pagine leggendarie della storia del suo club o dell’Italia calcistica. Certo, è stato la leggenda che riuscì a mettere in bacheca 1 Mondiale, 7 scudetti, 2 Coppa Italia, 1 Coppa UEFA (ora Europa League), 1 Coppa Campioni (nell’era del marketing e dei milioni di euro la massima manifestazione calcistica per club ha aggiornato il suo nome diventando la ricca, magnifica e remunerativa Champions League), 1 Coppa delle Coppe, 1 Supercoppa ed 1 Coppa Intercontinentale. Ma è stato pure quel calciatore che in 16 anni di carriera non fu mai squalificato per un’espulsione.
Per le sue caratteristiche tecniche e per le sue qualità morali, per la sua gentilezza e per i suoi modi affabili, Scirea merita di essere raccontato ai giovani e a coloro che si avvicinano al gioco del calcio. Perché prima del calciatore, c’è l’uomo, con i suoi valori e con la sua eleganza, mostrata, e mai ostentata, sia in campo sia fuori. Anzi, fu il suo modo di essere, di approcciarsi alla vita, di credere in determinati principi a forgiarlo leader di un reparto, prima, e di un’intera società, poi.
La leadership di Scirea non è paragonabile a quella dei calciatori moderni, campioni di dissing, privi di rispetto, gonfi di sé e pieni di follower. Il centrale della Juventus, come il suo amico e collega Dino Zoff, non aveva bisogno di alzare la voce per catturare l’attenzione del pubblico o dei compagni. A lui bastavano poche parole, pronunciate tra l’altro a bassa voce, ed uno sguardo. Così era in campo, così era nella sua vita privata e pubblica. Sempre a testa alta, con un accenno di sorriso e con un’espressione che infondeva tranquillità e sicurezza.
Un calciatore universale
Gianni Brera, uno dei più grandi giornalisti italiani, scrisse: “Scirea è un grande difensore quando sta dietro, un grande centrocampista quando sta in mezzo ed un grande attaccante quando sta nell’area avversaria”. Tale definizione aiuta, soprattutto chi non ha potuto ammirare dal vivo o in tv quel libero che giocava con estrema eleganza, a capire l’universalità dell’atleta.
Nato attaccante, arretrato successivamente per ricoprire il ruolo di mezzala, fu il mitico Ilario Castagner, ai tempi allenatore dell’Atalanta, a spostarlo dietro a tutti gli uomini di movimento e a trasformarlo in quell’ultimo baluardo che non può commettere errori e che deve essere freddo.
Il suo debutto nel nuovo ruolo avvenne contro il Cagliari di “Rombo di Tuono”, al secolo Gigi Riva. Dopo 7 stagioni con la Dea, di cui 5 nelle giovanili e 2 in prima squadra, Scirea fu acquistato da Gianni Boniperti, il presidente della Juventus, per 700 milioni delle vecchie lire ed un paio di contropartite tecniche. Achille Bortolotti, numero uno della società bergamasca, parlando al suo collega bianconero, disse: “Questo ragazzo te lo porto io personalmente a Torino. Che sia un campione, dovrà dimostrarlo; che sia un grande uomo, posso già garantirtelo”. Aveva solo 21 anni, Gaetano Scirea. Era già un grande uomo e presto sarebbe diventato una leggenda.
Fiero di aver conseguito il diploma di maestro a 34 anni
L’essenza di Scirea, come grande uomo, si notò anche fuori dal rettangolo verde e dagli stadi più importanti d’Italia e del mondo. Vinse tutto nella sua vita, ma il successo più importante, quello più faticoso, quello che lo rese più fiero, arrivò all’età di 34 anni, quando conseguì la maturità all’istituto magistrale Regina Margherita di Torino. Lo doveva ai suoi genitori che avevano fatto sacrifici per tutta la vita, lo doveva a sé stesso e alla sua famiglia.
Di Calciatori e Uomini come Scirea lo sport ed il calcio italiano ne avrebbero davvero bisogno. Per la sostenibilità del sistema, l’umanità, la gentilezza, l’onestà intellettuale ed il rispetto che non si trovano più nei professionisti che frequentano gli impianti sportivi. Per la capacità di farsi ascoltare da una platea senza urlare e per i veri valori dello sport e della vita. E poi, anche per loro: i giovani di oggi, ai quali mancano dei modelli positivi, dei fari da seguire o da emulare.