Lavoro: la grande contraddizione italiana tra settimana corta e orari lunghissimi

Nella Repubblica fondata sul lavoro, così come recita la sua Costituzione, proprio il lavoro è l’argomento su cui si registrano le più grandi contraddizioni.

I rilevamenti Istat a marzo 2023 raccontano un’Italia in crescita sul piano dell’occupazione rispetto al mese precedente. All’aumento degli occupati, infatti, si associa la diminuzione dei disoccupati e la sostanziale stabilità degli inattivi. Il tasso di occupazione è rimasto stabile al 60,9%; il tasso di disoccupazione è sceso al 7,8% dal 7,9% del mese precedente ed è diminuito al 22,3% tra i giovani (-0,1 punti).

L’occupazione cresce (+0,1%, pari a +22mila unità) per uomini e donne, dipendenti e per tutte le classi d’età tranne quella dei 25-34enni, per cui risulta in calo. Il tasso di occupazione è stabile al 60,9%.

Il numero di persone in cerca di lavoro, rispetto a febbraio 2023, diminuisce (-1,1%, pari a -22mila unità) tra gli uomini, le donne e tra chi ha almeno 35 anni. Il tasso di disoccupazione totale scende al 7,8% (-0,1 punti), quello giovanile al 22,3% (-0,1 punti).

La stabilità del numero di inattivi – tra i 15 e i 64 anni – è sintesi della crescita tra gli uomini e tra chi ha 50 anni o più e della diminuzione tra le donne, i 15-24enni e i 35-49enni. Il tasso di inattività rimane invariato al 33,8%.

Confrontando il primo trimestre 2023 con quello precedente, si registra un incremento del numero di occupati (+0,4%, pari a +90mila unità).

La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa all’aumento delle persone in cerca di lavoro (+0,6%, pari a +12mila unità) e alla diminuzione degli inattivi (-1,0%, pari a -125mila unità).

Insomma, notizie positive che indicano, forse, un cambio di tendenza.

Lavoro: il confronto con l’Europa

Diventa implacabile, però, il confronto con l’Europa. Nel 2022 l’Italia ha registrato il tasso di occupazione più basso tra i 27 Paesi dell’Unione europea, con il 65% del totale delle persone con un impiego sul totale della popolazione attiva. L’Ufficio statistico dell’Ue, Eurostat, mostra l’Italia seguita dalla Grecia (66%) e Romania con (69%).

Nulla di nuovo all’orizzonte, si potrebbe esclamare, in un contesto perennemente pessimista e che, da tempo, ha smesso di sognare un futuro diverso, ma anzi appare piegato su sé stesso, abbattuto dalla rassegnazione.

Ma in realtà qualcosa di nuovo e forse anche di particolare viene fuori dagli stessi dati Eurostat attestanti, tra l’altro, che il 7% dei lavoratori europei lavora più ore di quando dovrebbe. Il fenomeno in Europa riguarda chiaramente i lavoratori autonomi (30%) e i settori agricoltura, pesca e foreste (28%).

Questo fenomeno riguarda anche l’Italia, con percentuali anche molto rilevanti.

Per rendere più “fotografica” questa notizia, potremmo affermare che nel Paese che conta meno lavoratori, chi ha un impiego lavora di più rispetto ai “colleghi” europei.

O per dirla meglio, il lavoro c’è, è poco ed è anche distribuito male.

Il 10% dei lavoratori italiani lavora cinquanta ore a settimana

Secondo l’indagine Eurostat, quasi il 10% dei lavoratori italiani (9,4%, più di 2 milioni di occupati) lavora cinquanta ore a settimana. Parliamo per lo più di imprenditori e lavoratori autonomi, ma spicca il dato anche sui dipendenti.

Giusto per ricordare, per primi a noi stessi, la settimana lavorativa in Italia è pari a 40 ore. Lavorare dieci ore di più implica un aumento pari al 25%, un dato molto rilevante nel momento in cui il dibattito politico, addirittura ed altra enorme contraddizione, si concentra sulla settimana lavorativa corta.

Argomento, quella della settimana corta, così come quello uscito dai dati Eurostat (il lavoro lunghissimo) che, però, così com’è entrato velocemente nell’agenda politica, ne è uscito, tant’è che il decreto lavoro del Governo Meloni, varato il 1 maggio, si concentra più sul taglio fiscale che sul taglio delle ore lavorative, e le contestazioni dei sindacati spingono più sul versante “stabilizzazione e lotta alla precarietà” che non sulla “qualità del lavoro”.

Eppure “qualità del lavoro” significa anche “qualità della vita” e la prima incide fortemente sulla seconda.

“Lavorare meglio e lavorare meno”, sarebbe una massima da tenere sempre presente, che potrebbe diventare un mantra se si aggiungesse anche “lavorare in più”, inteso proprio come numero di occupati.

Risulta evidente a chiunque che ogni ora in più che si passa sul proprio posto di lavoro, viene automaticamente sottratta alla propria vita quotidiana, alla famiglia, allo shopping, alla cura di sé stessi, o più semplicemente a sé stessi, magari anche senza curarsi troppo.

 

 

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