Giornata Internazionale per la libertà di stampa: l’algoritmo dell’informazione che cambia

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà di opinione senza interferenze e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere”: così recita l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Libertà di espressione, di ingabbiare la censura e di lasciare camminare le parole lungo la propria strada senza ostacoli. Queste le radici della celebrazione che caratterizza il 3 maggio dal 1993: la Giornata Internazionale per la Libertà di Stampa. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione della Conferenza Generale dell’UNESCO, decise di istituire una ricorrenza baluardo per ricordare l’importanza dell’indipendenza e del pluralismo della stampa. 

La libertà di stampa e l’esperienza digitale della comunicazione

Da allora, dal 1993, il mondo è cambiato. Trent’anni che hanno visto l’umanità confrontarsi con una trasformazione sociale, economica, ecologica e tecnologica senza precedenti. Tra gli aspetti che hanno subito una metamorfosi importante c’è quello dell’informazione, perché la comunicazione proposta dal world wide web (nato nell’agosto 1991 per mano di Tim Berners-Lee) ha totalmente stravolto le modalità di diffusione delle notizie. La stampa cartacea ha dovuto adattarsi alle nuove modalità di fruizione e soprattutto ha dovuto fare i conti con l’advertising online e le piattaforme social come contenitore e veicolo. 

Il punto è che la digitalizzazione, per quanto spesso associata all’autodeterminazione e all’indipendenza, ha condizionato la libertà di stampa e in una giornata come questa ne vanno analizzate le motivazioni. 

Stando all’ultimo report annuale del World Press Freedom Index la libertà dei media è minata in 31 Paesi. Fake news, AI e propaganda hanno inficiato il concetto di libertà, portando oltre che alla disinformazione diffusa anche all’asservimento alle logiche artificiali degli algoritmi e dei posizionamenti pubblicitari.  

Bisogna però fare una precisazione: a influire in maniera importante sul dato negativo già citato sono prettamente le logiche dei regimi non democratici. Dunque, anche il fattore politico ha un peso specifico.

Informazione digitale e regime politico: il caso Tunisia

Report senza frontiere ha evidenziato, in proposito, che la Tunisia è il Paese che nel corso del tempo ha perso più posizioni rispetto alla classifica annuale della libertà di stampa. D’altra parte si fa riferimento a un territorio che ha visto l’imposizione di un cambiamento economico e politico non di poco conto. Rsf in proposito scrive: “Dalla rivoluzione del 2011 che ha cacciato il presidente Ben Ali fuori dal Paese, la Tunisia ha vissuto una transizione democratica con molti colpi di scena. Il colpo di Stato del presidente Kaïs Saïed nel luglio 2021 ha sollevato timori di un declino della libertà di stampa […] la crisi economica ha indebolito l’indipendenza di molte redazioni, dominate da interessi politici o economici, e ha minato il nascente pluralismo mediatico”. 

Ma la questione è più ampia di così perché: “I media locali – si legge ancora – dipendono da inserzionisti privati, alcuni dei quali detengono quote del loro capitale e possono essere vicini all’ambiente politico, un contesto che minaccia l’indipendenza editoriale della redazione. I loro introiti pubblicitari dipendono anche dal loro pubblico, e il calcolo è scarsamente regolamentato e molto contestato”. 

Il ruolo dei giornalisti

Resta ancora da considerare il ruolo dei reporter, dei giornalisti che cercano di sovrastare l’imposizione: “l’intimidazione dei giornalisti sta diventando un luogo comune e i reporter devono spesso affrontare la violenza dei manifestanti tunisini. Un nuovo limite è stato raggiunto il 14 gennaio 2022, quando un corrispondente di diversi media internazionali è stato picchiato e una decina di altri giornalisti sono stati brutalizzati mentre seguivano una manifestazione, e nel febbraio 2023, con l’arresto del giornalista e direttore della radio Mosaïque, Noureddine Boutar”. 

Dunque, nei Paesi non democratici o in cui la democrazia viene costantemente minacciata il prodotto digitale – ma non solo – diventa un’arma di propaganda che trova terreno fertile nei procedimenti di algoritmi e pubblicità. Senza contare la complessità della situazione in cui si muovono i cronisti che dovrebbero, per l’appunto, essere liberi di raccontare il mondo e le sue sfide. 

Il ruolo dei social

Si inserisce nel contesto anche il ruolo preponderante che hanno assunto i social network nella diffusione di informazioni. Durante le prime fasi della pandemia da Covid-19 il mondo intero ha dovuto fare i conti con le fake news e l’editoria si è confrontata in maniera brutale con la svalutazione di nomi delle testate giornalistiche e dei loro giornalisti. Perché una notizia falsa, un clickbait o una news spicciola condivisa solo per aumentare l’audience e soddisfare il mercato pubblicitario portano inevitabilmente gli utenti a perdere fiducia nella parola e nell’informazione in quanto tale. 

L’opinione pubblica, dunque, respinge la comunicazione editoriale attraverso i social? No, ma non la stima. E anche questo rappresenta una limitazione della libertà di stampa. Perché essere dipendenti di un sistema virtuale o di un regime politico o militare, in modo o nell’altro, determina assoggettazione e poco margine di movimento. 

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà di opinione senza interferenze e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere”: si ritorna qui, dunque, al concetto di diritto alla libertà da cui siamo partiti, perché il progresso ne tenga conto, perché la storia dei Paesi oppressi possa essere riscritta guardando alla libertà come il più grande obiettivo da raggiungere e preservare.

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