Al via la seconda fase del Progetto “Una buona occasione”: riflessioni e strategie innovative per rafforzare, dopo la pandemia, le competenze sociali emotive con il lavoro di gruppo.
Richiamando l’annuncio che per antonomasia rappresenta qualcosa che sta andando storto, dopo l’isolamento e il disagio vissuto durante la pandemia e nel conseguente lockdown – dal contatto al saluto, alla mascherina – l’allarme sociale che desta ora forte preoccupazione è il benessere psicologico, dovuto anche alla diminuzione nelle famiglie del concetto di attaccamento, soprattutto per i ragazzi.
Difficoltà nell’apprendimento, dispersione scolastica, episodi di discriminazione e abbandono della pratica sportiva, soprattutto negli sport di squadra, denotano quanto i ragazzi siano sempre meno curiosi o desiderosi di attaccarsi a un gruppo, nel quale oltre alle proprie abilità hanno – o avrebbero! – come ulteriore sforzo da compiere anche quello di aggiungere il loro vissuto emotivo attraverso la condivisione delle emozioni, che per lo psicanalista britannico Alfred Bion (1897-1979), autore di importati elaborati sui fenomeni di gruppo, è il collante per l’attaccamento psicologico all’interno del gruppo.
L’appartenenza a un gruppo sociale, definito come “un insieme di persone che interagiscono le une con le altre, in modo ordinato, sulla base di aspettative condivise”, come lo è una famiglia, una classe scolastica, una squadra sportiva, una band musicale o anche un team di lavoro, soddisfa uno dei bisogni fondamentali per l’essere umano.
“Una buona occasione” è un innovativo progetto ideato dal Prof. Aldo Grauso, Docente di Psicologia della Devianza Unicusano, Specialista dell’età evolutiva, Componente Commissione Medico Scientifica LEGA B, LND – FIGC, del quale è Coordinatore Scientifico, che si propone di contrastare, attraverso il lavoro di gruppo, cyberbullismo e bullismo.
Il progetto “Una buona occasione”
Il progetto, presentato in Campidoglio nel novembre del 2022 alla presenza di esponenti del Governo e avviato a gennaio di quest’anno, ha visto gruppi di ragazzi simulare la parte del bullo e della vittima e si accinge ora ad entrare nella seconda fase con la convocazione a maggio di un tavolo tecnico interministeriale e con altri soggetti istituzionali, tra i quali anche Organismi del mondo dello Sport.
Un progetto socio-educativo che sensibilizza studenti, docenti e famiglie, coinvolgendo Istituzioni e il mondo sportivo con il Dipartimento Responsabilità Sociale della LND di Giancarlo Abete, la Lega Nazionale Dilettanti della Federcalcio, associazione con il più alto numero di giovani tesserati.
Patrocinato dal Comune di Roma Capitale, al progetto pilota hanno aderito gli istituti comprensivi di due municipi di Roma, quello di Via Micheli nel II (Parioli) e di Via Mare dei Caraibi nel X (Ostia), nei quali la distribuzione spaziale degli indicatori di istruzione occupazione e sviluppo umano documentano l’esistenza di una significativa polarizzazione.
Agli incontri già svolti con esperti – quali il Direttore Generale dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma Francesco Vaia, la criminologa Roberta Bruzzone e con la Vice Direttrice Vicaria del Comune di Roma Capitale Pierpaola D’Alessandro – seguirà quindi un tavolo tecnico interministeriale, al quale prenderanno parte il Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Ministero della Salute, Enti Universitari, Federazioni Sportive, nonché il MOIGE, Movimento Italiano Genitori.
“Non si tratta del solito convegno, meeting o workshop – ci spiega il Prof. Grauso – fatto dagli adulti per gli adulti, ma di un esperimento che tratterà i dati forniti dai ragazzi attraverso un focus-group”.
Perché cala il numero dei praticanti: risponde il prof. Grauso
Per comprendere meglio la situazione attuale e l’impatto della pandemia sulle nuove generazioni, soprattutto negli sport di squadra, abbiamo chiesto al Prof. Grauso quali siano le cause del fenomeno del calo di praticanti.
Gli sport di squadra hanno come caratteristica principale quella della condivisione. Dopo il Covid-19, tutti gli indicatori sui giovani, dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), all’OCSE (organismo europeo per Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), all’Istituto Superiore di Sanità, hanno rilevato una seria problematica per i giovani, che rappresentano la popolazione maggiormente attiva nella pratica sportiva, sia a livello dilettantistico che professionistico.
Gli studi di Bion certificano all’interno di qualunque gruppo sociale elementi ben precisi e caratteristici, come le emozioni, la condivisione di queste e una fortissima empatia. All’interno del gruppo di base, Bion individua ciò che di primitivo è insito nell’essere umano ovvero un confronto, non tanto sul fare ma sul pensare (la capacità di trasformare le impressioni sensoriali relative a un’esperienza emotiva in elementi base per la costruzione del pensiero).
A seguito dell’emergenza pandemica, il lockdown ha distrutto le capacità di quello che viene chiamato il cervello emotivo: la chiusura in una determinata età evolutiva, quella della preadolescenza, ma anche in quella della seconda infanzia, di bambini tra i 6 e gli 8 anni, ha inibito tale capacità nel pieno della sua formazione. La non-formazione di questa capacità sta facendo continuamente emergere questo dramma: abbandono scolastico, dispersione sportiva e maggiore propensione a scegliere sport individuali.
La condivisione è alla base del fenomeno che si riscontra negli sport di squadra, inserito a sua volta in un discorso più ampio e che richiama il concetto del gruppo base: i nostri ragazzi hanno difficoltà ad elaborare tutto ciò che li attraversa emotivamente, ma confrontando la forza di un individuo possiamo affermare che questa è sempre minore se esercitata individualmente rispetto a quella di un individuo all’interno della cornice di un gruppo, nel nostro paese come probabilmente anche in altri, soprattutto dalla pandemia ad oggi.
Come è possibile intervenire per infondere speranza ed aiutare concretamente i giovani?
Per tornare ai preziosi lasciti di Bion e preparare interventi incisivi, i Tecnici dovrebbero diventare le “mamme dei gruppi”: aumentando il numero delle ore di insegnamento di psicologia, ancora più necessarie rispetto a due anni fa, potremmo avere degli Istruttori con competenze molto più oblative.
Il progetto, che si prefigge di comprendere i bisogni dei ragazzi e come possibile aiutarli, concretamente, sarà ancora più efficace allargando il bacino di utenza per un’analisi più ampia dei risultati che restituirà.
La speranza, per tutti, è di poter tracciare un percorso per poter dire “Signori, abbiamo avuto un problema, ma oggi abbiamo anche le competenze e le risorse per poterlo contrastare!”.