Il 19 marzo ricorre la Festa del Papà. Ogni anno, in questa particolare giornata, i figli dedicano un pensiero, una parola, un abbraccio più caloroso al proprio genitore. Una consuetudine che concede a padri e figli un’occasione per trascorrere del tempo insieme e, magari, di dedicarsi intimamente a una riflessione profonda sul proprio percorso di vita. Perché quando viene chiamata in causa l’emotività succede questo: i ricordi affiorano e le immagini del passato tornano a essere a colori. E si pensa, si pensa ad ogni passo: agli errori, alle gioie, ai traguardi, agli affetti perduti e al loro amore imperituro anche di fronte alla morte.
Noi abbiamo scelto di celebrare questa imminente festività attraverso la voce e gli occhi di chi ricopre il ruolo di padre. Oggi, infatti, riportiamo le parole di una persona che ha combattuto e sofferto; che ha fatto mea culpa e ha saputo imparare da quelli che lui stesso definisce errori; che ha amato e che ama come non è possibile spiegare. Semplicemente un papà.
La lettera di Marco Mietto, un papà
Marco Mietto è il papà di Alessia, nata già “guerriera” perché prematura.
La sua è una storia iconica perché vera e riguarda tutti noi. Alessia, come lei stessa ha testimoniato durante l’incontro “Insieme contro il bullismo: cultura, sport, volontariato”, realizzato dalla Senatrice Giusy Versace, presso Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva, è stata vittima di bullismo e ne ha pagato, a carissimo prezzo, le conseguenze. E con lei mamma Cristina e papà Marco.
Cosa si fa quando un figlio si ritrova a dover combattere contro un simile mostro? Cosa accade nella mente e nel cuore di un genitore?
“Dal 1993 al 2021 è successo di tutto e mai e poi mai avrei pensato di dover affrontare ciò che Alessia ha dovuto subire. Ero attento a non commettere gli errori che un padre senza esperienza di solito commette o evita di commettere. Non mi sono accorto che non stavo capendo mia figlia; non ho percepito i suoi segnali di paura, terrore, dolore e richiesta di aiuto. Sì perché lei di segnali me ne ha lanciati molti. Io e lei fin dalla nascita siamo stati legati da un cordone invisibile che ci ha unito e ci ha fatto condividere le cose anche senza proferire parola. E pur avendo tutto ciò, stupido io che non mi sono accorto di ciò che stava accadendo. E quando me ne sono accorto era troppo tardi.
La ferita era già profonda, sanguinava e non si poteva più rimarginare. Come dice mia moglie, la parola bullismo non si sapeva neanche cosa fosse in quegli anni; era un termine inserito del vocabolario, ma il vero significato, per chi non l’ha provato, rimaneva solo una traccia scritta. Beh, sappiate che non è così. E’ ben di più e può costare caro. Ho giurato sempre di difendere i miei figli da una vita difficile e da gente come i bulli e i furbi.
Ho sempre pensato di essere uno che era in grado di affrontare la vita senza mai farsi scalfire. Beh, mia figlia Alessia mi ha insegnato quanto invece fragile e vulnerabile io possa essere. Non sto qui a raccontarvi tutto ciò che Lei ha passato e che ancora oggi sta passando. Vi racconto solo cosa passa un padre innamorato di sua figlia e sa di averla delusa per non aver mantenuto la promessa più importante: quella di non farle mai provare un dolore così”.
“Alessia mi ha insegnato molto”
La ferita di Alessia sanguinava e papà Marco si sentiva improvvisamente vulnerabile. Le sue certezze sono crollate. E allora ha iniziato a cercare chi avesse fatto del male a sua figlia, a correre veloce quando lei gli telefonava in lacrime…
“Notti insonni. La rabbia mi ha spinto e mi spinge a cercare chi ha fatto male a mia figlia e a fargliela pagare; corse in macchina a folli velocità per raggiungerla perché mi chiamava al telefono, piangendo. Mi chiedeva aiuto. Per diversi mesi, chilometri e chilometri, appena finito il lavoro, per andarla a trovare a Garda (Vr) ogni sera nella clinica dove aveva deciso di farsi curare la bulimia, sì, avete capito bene: un effetto collaterale di quanto ha subito l’ha portata alla bulimia. Sofferenza e dolore, mai detto e urlato, ogni volta che varcavo la soglia della clinica per raggiungerla e la necessità di farle vedere il mio sorriso e la mia forza. Rabbia e sofferenza, mai espressa, ogni volta che ancora oggi varco la soglia di casa e guardo mia figlia negli occhi e le dico ‘ti voglio bene, mi spiace averti deluso’.
Ho sempre avuto la forza anche per lei e ho cercato di insegnarle ad affrontare la vita a testa alta e con determinazione a tal punto che oggi è una DONNA a tutti gli effetti e mi rendo conto che non sono io che ho fatto da padre a lei, ma lei ha fatto da figlia a me. Ed è il dono più grande. Una figlia che ti odia, ti cerca, ti ama.
Una figlia che ti usa come sacco da pugilato quando ha bisogno di sfogarsi e sa di poterlo fare, una figlia che ti riprende e ti dà lezioni di vita su come comportarti con gli altri, come le è stato insegnato da qualcuno in questa casa. Una figlia che è sempre pronta a sorreggere il mondo per gli altri e dimentica di sorreggere sé stessa. Una figlia che maschera ancora oggi con rabbia, aggressività e indifferenza, oltre che silenzio, le sue profonde ferite e i dolori non ancora superati. Una figlia che si vergogna di farsi guardare da chiunque e mette sempre vestiti larghi e possibilmente ingombranti per mascherare le sue rotondità. Una figlia che dimentica a volte di essere Donna e non vuole andare avanti”.
Il messaggio del papà di Alessia
Poi è arrivato il momento, il momento di raccontarsi agli altri. Questo papà, però, non ha mai voluto impartire insegnamenti, ma solo far camminare le sue parole sulle proprie gambe perché arrivassero, perché percorressero chilometri, gli stessi che lui ha compiuto per raggiungere Alessia.
“Potrei descrivervi per pagine e pagine i risvolti di questa situazione di bullismo subito, di bulimia e obesità indotte dal bullismo. Ma in verità mi chiedo a cosa potrebbe portare o cosa potrei io per far comprendere. Ma non lo voglio fare. Non sono nessuno per dire ad altri cosa è giusto o sbagliato fare, cosa bisogna essere o non essere o peggio ancora cosa bisogna evitare di fare o a cosa bisogna stare attenti a cogliere. In ogni famiglia le dinamiche, gli equilibri e le sintonie sono diverse.
Posso solo dire a chi ha voglia di ascoltare: NON SMETTETE MAI DI ASCOLTARE IL SILENZIO DEI VOSTRI FIGLI. Spesso quel silenzio ha molto da dire, più di mille parole espresse e nasconde un mondo che mai potreste immaginare. Non smettete mai di cogliere ogni riflesso negli occhi dei vostri figli, non smettete mai di essere il loro angelo custode invisibile che nel momento del bisogno c’è. Non smettete mai di essere per loro un padre o una madre pronti ad aiutarli quando urleranno di paura o di gioia. Siate ciò che loro chiedono. A volte nessuno, a volte tutto. A volte ingombranti, a volte indispensabili. E non vergognatevi mai di esprimervi con loro con il cuore.
Fare il padre non è essere fonte di sapienza e di legge, ma è una esperienza che ti forma giorno dopo giorno e ti insegna ad imparare in ogni momento anche da loro. Mia figlia ha molto da dire e molto da insegnarmi. Anche nel suo dolore e nella sua sofferenza e io sono orgoglioso di essere suo padre perché lei per me è un esempio di vita, un modello di persona che amo e vorrò sempre al mio fianco. Difetti compresi (e credetemi ne ha molti). Siate sempre presenti e non dimenticate mai di dire a vostro figlio/a “Ti voglio bene”.
Una storia che appartiene a tante famiglie
“Non smettete mai di ascoltare il silenzio dei vostri figli”: un invito – più che un monito – all’ascolto. All’inizio dell’articolo abbiamo parlato di riflessioni intime e del potere delle ricorrenze. Marco Mietto, con questa lettera, ci ricorda, invece, quanto conti la quotidianità, quanto sia vitale guardare in modo introspettivo se stessi e gli altri, in ogni momento.
La storia di Marco, Cristina e Alessia è importante anche perché appartiene a decine di migliaia di famiglie. Ma non se ne parla mai abbastanza. Non si ascolta mai abbastanza.