L’idea di flexy week, o settimana corta, si concretizza anche in Italia. Al fine di consentire a lavoratrici e lavoratori dipendenti di ottenere un maggiore equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, alcune aziende nostrane hanno avviato sperimentazioni che prevedono una giornata lavorativa in meno, senza per questo ritoccare gli stipendi o ridurre i giorni di ferie e permessi previsti da contratto.
La decisione, al momento assunta solo da privati, nasce dall’esigenza di adeguarsi ai cambiamenti che il mercato del lavoro globale sta attraversando. In diversi Paesi europei, ma non solo, la flexy week è già stata presa in considerazione e messa in atto. I fenomeni delle Grandi dimissioni e del job hopping hanno generato un’onda inarrestabile, nonché un’emorragia di forza lavoro; le aziende si sono quindi messe in discussione cercando di comprendere quali fossero le motivazioni che hanno portato migliaia di dipendenti a lasciare il proprio posto di lavoro in seguito alle fasi più critiche della pandemia da Covid-19.
In effetti, le risposte sono molteplici. Una, ad esempio, riguarda la digitalizzazione di diversi mestieri; lo smart working, in proposito, ha dimostrato come la presenza costante in ufficio non sia necessaria. Un’altra motivazione è da ricercarsi nella volontà di molte persone di ritrovare una stabilità che dia più spazio alla vita personale e familiare. C’è anche da considerare che i nuovi occupati, soprattutto quelli appartenenti alla Generazione Z, hanno una visione meno plastica dell’orario di lavoro; dunque aspirano a una maggiore elasticità. Infine, troviamo il benessere della persona. In troppi ambienti lavorativi i ritmi sono frenetici e la competitività è portata a livelli estremi, pertanto sono aumentati i casi di stress e burn out. Ecco dunque che si preferisce guardare altrove ed entrare in contatto con nuove realtà.
Settimana corta: un nuovo approccio al lavoro
La settimana corta ha quindi l’obiettivo di strutturare una nuovo approccio al lavoro. I risultati ottenuti in altri Paesi sono per lo più positivi; in generale, la produttività dei dipendenti è aumentata, così come il livello di serenità. Ne dà contezza Forbes guardando all’esperimento avviato nel Regno Unito che concerne settanta aziende e oltre tremila dipendenti. Stando ai dati forniti, per metà delle aziende la produttività è migliorata: il 34% definisce il livello di produzione “leggermente migliorato”, il 15% invece sostiene che sia migliorato in maniera incisiva, mentre altri hanno dichiarato che è rimasto invariato.
Gli esempi di Giappone, Islanda (che ha iniziato le sperimentazioni sul tema partire dal 2014), Spagna, il già citato Regno Unito, Emirati Arabi e Belgio hanno convinto anche alcune aziende italiane a procedere. Banca Intesa, ad esempio, ha previsto quattro giorni lavorativi, di nove ore ciascuno, a parità di retribuzione; Awin Italia, invece, già dal 2021, ha applicato una policy aziendale che riguarda il telelavoro, un giorno libero o due mezze giornate a settimana. Tria Spa, un’azienda di Cologno Monzese che si occupa della produzione di macchine per il riciclo della plastica, da gennaio a luglio 2023 ha disposto la chiusura degli uffici alle ore 12.00 ogni venerdì.
Attualmente, la possibilità di lavorare quattro giorni, anziché cinque, è consentita solo al 5,9% dei lavoratori in Italia. Spesso vengono sollevate perplessità sulle questioni burocratiche e contrattuali; dunque, per molti resta confusa l’applicabilità. Tuttavia, al netto dei fatti, non sussistono vincoli invalidanti, non sono necessari interventi legislativi.