“Non sono cose da donna”: una frase che, per quante volte è stata pronunciata, quasi ha perso di senso. Tutte e tutti l’hanno sentita o dichiarata almeno una volta nella vita. A scuola, in casa, sul lavoro, nello sport e nelle interazioni sociali. Esistono, ancora nel 2023, cose da donne e cose da uomini. Benché quotidianamente si affronti il tema del gender gap, sono ancora molti gli stereotipi da superare e le discrepanze da risolvere, sia sul piano sociale sia su quello economico.
I numeri, quelli a cui ci si affida per non sbagliare, non mentono: le donne guadagnano meno degli uomini pur ricoprendo la stessa posizione lavorativa (i dati Eurostat relativi al 2020 indicano che sul territorio dell’unione europea la retribuzione oraria lorda delle donne era in media inferiore del 13,0% a quella degli uomini e del 14,1% nell’area dell’euro) o, ad esempio, avendo lo stesso grado di preparazione in ambito sportivo.
Talvolta, è ancora negata la sostanza di un commento femminile quando è richiesto un parere in ambiti ritenuti per convenzione prettamente maschili. Certo, il mondo è cambiato e tanto, soprattutto negli ultimi settant’anni. Esiste, almeno sulla carta, una sorta di equità. Tuttavia, se ancora si parla di conquiste da tutelare è evidente che in teoria il sistema funziona, in pratica no.
Gender gap: un errore di sistema
Se c’è ancora bisogno di avere figure di riferimento che tentano di abbattere le barriere, c’è un bug. Il riferimento alla tecnologia digitale non è casuale: il bug è un guasto generato da un errore di codice. Ecco, un errore di codice. Lo stesso che ogni volta si rivela nelle narrazioni che si fanno del divario di genere.
Qualcosa non funziona, quando Silvia Salis, ex martellista titolata e attuale Vice Presidente vicario del CONI, deve ribadire: “Abbattere le barriere di genere è una vittoria per tutti, non solo per le donne. Quando una società riconosce il cambiamento vuol dire che sta andando avanti; quindi, da donna, da sportiva, da vice presidente del Coni per me è importantissimo che i riflettori non si spengano su questo argomento”.
E ancora, se Netflix lancia una serie tv ispirata alla storia vera del primo avvocato donna in Italia, radiata dall’albo solo perché donna (il riferimento è a La Legge di Lidia Poet, interpretata da Matilda De Angelis) e si parla di un messaggio da divulgare, perché importante per la crescita sociale, qualcosa non funziona.
E se è nel 2022 che viene eretta una statua che rappresenta una luminare delle scienze, quale Margherita Hack, e la notizia fa notizia, bisogna davvero riguardare approfonditamente i codici.
Se Samantha Cristoforetti, astronauta e prima donna europea comandante della Stazione spaziale internazionale, deve giustificare la propria assenza da casa quando i media le chiedono come farà con i propri figli, le speranze di correggere il codice calano.
Dove i diritti sono ancora da acquisire e non da tutelare
Di fatto, ogni volta che la parità netta aleggia e attecchisce qualcosa, un evento, una parola, una legge, un commento, deve ristabilire l’ordine naturale delle cose, ricordando che chi appartiene al genere femminile ha ancora molti scalini da salire.
E mentre in una parte del mondo ci sono diritti da tutelare, a chilometri più in là, le donne non possono frequentare le scuole, né baciare o tenere per mano il proprio compagno, viene inflitta loro la pena di morte magari per aver indossato un capo in maniera errata. Afghanistan, Iran, Sud est asiatico, Siria, Arabia Saudita, Yemen e così via. Un grave, gravissimo errore di codice. Atroce.
L’Agenda 2030
E dunque, quando ci si scontra con un bug informatico, di norma, interviene l’assistenza. Nel caso delle barriere di genere, chi interviene? Cosa deve cambiare?
Ci provano le Nazioni Unite che riferiscono: “Mentre il mondo ha fatto progressi nella parità di genere e nell’emancipazione delle donne attraverso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (tra cui la parità di accesso all’istruzione primaria per ragazzi e ragazze), donne e ragazze continuano a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del mondo.
La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace.
Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.”
Ecco quindi il quinto punto dell’Agenda 2030: “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”. Il testo fa riferimento ad azioni concrete da svolgere quotidianamente che coinvolgono istituzioni e cittadini in egual misura. QUI i traguardi posti dalle Nazioni Unite per colmare il gender gap.
Attenzione però a non commettere il grave errore di pensare che le criticità esistano da una parte sola. Gli obblighi sociali e morali affidati agli uomini per convenzione dettano, seppur in maniera meno incisiva nel disegno globale, importanti squilibri. Lavorare per costruire una comunità giusta significa ad ogni modo tener conto dell’altro, a prescindere dal genere di appartenenza.
Raggiunti gli obiettivi, sistemato il codice, serve archiviare nella memoria storica il percorso affrontato per non dimenticare l’immensa fatica fatta per risolvere un unico, ma fondamentale bug.