Si torna a parlare di Grandi Dimissioni, un fenomeno che ha avuto origine durante le fasi successive alla crisi sanitaria negli Stati Uniti per poi estendersi a macchia d’olio in altre Nazioni, Italia compresa. Ed è proprio nel Bel Paese che nel 2022 si è registrato un numero importante di dimissionari. Si parla, infatti, di 1,6 milioni di dimissioni durante i primi mesi dello scorso anno; ben il 22% in più rispetto al 2021. I dati si rilevano da una delle ultime note trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del lavoro. Ma perché accade? Cosa spinge lavoratrici e lavoratori a lasciare il proprio impiego?
Le ragioni delle Grandi Dimissioni in Italia
In primo luogo bisogna fare riferimento a un trend che si verifica su scala globale: la ricerca di un maggiore equilibrio tra vita privata e vita lavorativa e la volontà di trovare un impiego soddisfacente e gratificante. In breve: quanto accaduto durante la pandemia (tra lockdown, smart working e telelavoro) ha motivato migliaia di lavoratrici e lavoratori dipendenti a valorizzare il più possibile il proprio tempo e le proprie aspirazioni. Nel caso specifico, sono i dipendenti più giovani, di età inferiore a 35 anni, a inseguire le proprie ambizioni lavorative (a decretarlo è un’indagine, “Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo approccio al lavoro”, prodotta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro); non accontentarsi, in pratica, è diventato un diktat.
In tale contesto si inserisce anche un altro fenomeno quello del Job Hopping, letteralmente “saltare da un lavoro all’altro”. Nella maggior parte dei casi, infatti, ci si dimette per passare a un impiego più calzante alle proprie attitudini o meglio retribuito. Ne dà conferma una rielaborazione della società di recruitment Oliver James su dati ANPAL Servizi: in media, il 50% dei dimissionari nel 2022 dopo circa un mese era già nuovamente impiegato in un’altra attività.
Donne lavoratrici e Grandi Dimissioni
C’è poi un altro fattore da tenere in considerazione; centinaia di lavoratrici e lavoratori lasciano la propria occupazione per dedicarsi alla famiglia. In questo caso, e sono ancora i numeri a confermarlo, sono maggiormente le donne a rinunciare alla propria carriera per seguire i figli nella crescita e fornire cure assistenziali agli anziani.
I dati forniti al Sole 24 Ore dal Ministero del Lavoro indicano che l’incremento delle dimissioni è più imponente per le donne +36,5%, su base annua, contro il +27,8% degli uomini. Si aggiunge a ciò anche un dato che riguarda la posizione geografica. Stando a quanto riportato, infatti, è tra il Nord e il Centro Italia che si è registrato il maggior numero di dimissioni da parte di lavoratrici. Va anche specificato, però, che nella totalità dei numeri sono le donne che vivono al Nord e al Centro Italia ad essere maggiormente inserite nel mondo del lavoro.
Infelicità e Burn out
Un’ultima riflessione concerne, invece, la tossicità di determinati contesti lavorativi. Un numero importante di dimissioni arriva quando iniziano a palesarsi i primi segnali di burn out sul posto di lavoro. Si tratta di una vera e propria sindrome invalidante (che porta a disturbi di natura fisica e/o mentale), scaturita dalla tossicità di alcuni ambienti: mobbing, carico di lavoro ingestibile, competitività, liti, straordinari non retribuiti e così via. Si ritorna quindi alla volontà di salvaguardare la propria sfera personale a discapito del lavoro.
Uno degli ultimi monitoraggi semestrali di Randstand, condotto in 34 Paesi, ha evidenziato che soprattutto le nuove generazioni non sono disposte a rinunciare alla propria serenità per un impiego; talvolta, infatti, si preferisce essere disoccupati, anziché tollerare soprusi e il mancato rispetto dei termini contrattuali da parte del datore di lavoro.
Però cresce l’occupazione…
Fatte le dovute considerazioni sul fenomeno delle Grandi Dimissioni, bisogna anche chiarire, a onor di cronaca, che questo non collide con la crescita dell’occupazione. I dati ISTAT sul tema, risalenti a novembre 2022, hanno determinato un crescita del 60,5% per il tasso di occupazione rispetto al mese precedente. Si è parlato di un dato storico che non veniva rilevato dalla fine degli anni ‘70.