Dalla proposta del 1991 delle Isole Vanuatu alla COP 27 che rischiava di concludersi con l’ennesimo fallimento. Sono più di trent’anni che si parla di un meccanismo di risarcimento per i Paesi in via di sviluppo che vengono colpiti dagli effetti del cambiamento climatico o del surriscaldamento del Pianeta.
Dopo decenni di discussioni e di fratture tra nord e sud del mondo, è stato trovato un accordo. Tra il 18 ed il 19 novembre, a Sharm El Sheikh, in Egitto, in occasione della 27ª edizione della Conferenza ONU sul clima, è arrivato il via libera al cosiddetto Loss and Damage. L’apertura da parte del Vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, ha reso possibile l’istituzione del fondo che ricompenserà le Nazioni meno responsabili dell’innalzamento della temperatura globale per le perdite e i danni causati da eventi meteorologici estremi o da effetti collaterali legati alla produzione di CO2.
Che cos’è il Loss and Damage?
Il Loss and Damage può essere considerato come uno strumento di giustizia climatica e sociale, ma non cambierà il traguardo che tutto il mondo dovrà raggiungere: in primis, l’obiettivo di 1,5° C in più rispetto all’era preindustriale. Una quota che non azzera, ma che dovrebbe ridurre perdite e danni. Ogni anno, dal 1991 ad oggi, si calcola che 189 milioni di persone vengono colpite dagli effetti della crisi climatica e 676 mila abitanti della Terra perdono la vita a causa dei disastri ambientali.
Gli scorsi mesi di settembre ed ottobre, ad esempio, in Pakistan, le alluvioni hanno coinvolto 33 milioni di persone, mietuto migliaia di vittime e causato danni per 40 miliardi di dollari. Piogge intense, eccezionali per certi versi, si sono abbattute per settimane su una Nazione che è responsabile dello 0,28% delle emissioni di CO2 e che, considerando il PIL nominale, occupa la 44ª posizione degli Stati più ricchi. Con l’introduzione del Loss and Damage, il quinto Paese più popoloso del mondo ed una delle maggiore economie in maggior crescita potrebbe ricevere un indennizzo per le ferite inferte da un fenomeno connesso al cambiamento climatico.
Mitigazione, adattamento e loss and damage
Introdotta per la prima volta nel 2007 alla COP 13 di Bali, l’espressione loss and damage ha iniziato a prendere forma soltanto 8 anni più tardi, quando a Parigi è stata separata dalla mitigazione e dall’adattamento, ovvero le due strade politiche utilizzate fino al 2015 per affrontare i cambiamenti climatici.
Se con mitigazione si intendono tutte le scelte orientate alla decarbonizzazione e a mettere un freno al riscaldamento globale, all’interno del macro insieme di misure di adattamento sono racchiuse le tecnologie, come i sistemi di allerta preventiva in caso di uragani, e i processi che limitano i danni provocati da condizioni meteorologiche estreme. Ora, aggiungendo il loss and damage, i responsabili storici delle emissioni di CO2, che hanno surriscaldato la Terra ed alterato l’ambiente, si fanno carico delle perdite e dei danni subiti dai Paesi più vulnerabili che sono stati colpiti dai cambiamenti climatici.
Anche la Cina contribuirà al fondo sui danni climatici?
Come funzionerà il meccanismo non è ancora chiaro. Con ogni probabilità, il prossimo anno, alla Cop 28 di Dubai il Comitato di transizione, istituito a Sharm El Sheikh e composto da 24 membri, di cui 14 in rappresentanza dei Paesi in via di sviluppo, dovrà riferire in merito all’erogazione dei fondi, alle condizioni di suddivisione delle risorse e al quantitativo che verrà distribuito.
Quello che è certo è che USA, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone non vogliono essere i soli a risarcire i Paesi più poveri. Chiedono a gran voce che anche altre Nazioni si assumano le loro responsabilità, a cominciare da quella Cina che non può essere più considerata un Paese in via di sviluppo visto che è la seconda potenza mondiale per PIL nominale.