Misurare il valore sociale con lo sport: l’esperienza di Sports Community

Alla città dell’Altra Economia, Testaccio, è andato in scena ieri, 13 giugno, un appuntamento di Sports Community, progetto realizzato da OPES, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il supporto tecnico e scientifico della SAA – School of Management – Università di Torino. 

Il cuore pulsante dell’iniziativa è rappresentato dalle Comunità di Pratica: incontri in cui stakeholder, professionisti, ambasciatori del mondo accademico, sportivo e del terzo settore, ricercano le migliori possibilità per ripensare gli spazi urbani – ma non solo – a favore di uno sport inclusivo che si traduca in una concreta opportunità di crescita per la società. L’obiettivo, in soldoni, è trovare soluzioni utili mirate al benessere dei cittadini e alle politiche sociali, passando quindi per la pratica sportiva. 

Il convegno, dal titolo “Misurare il valore sociale con lo sport: l’esperienza del progetto Sports Community”, tenutosi nell’ambito dell’iniziativa “Il Grande Cuore di Roma” (di cui vi abbiamo parlato qui), ha visto la partecipazione degli attori protagonisti di questa particolare attività targata OPES. 

Hanno infatti restituito un’idea precisa di quanto fino ad ora affrontato dalle COP (Community of practice): Juri Morico, Presidente Nazionale di OPES, Marcello Bogetti, Direttore di LabNET, il Laboratorio di Network Analysis della SAA – School of Management Torino e coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico di Sports Community, Manuel Onorati, Docente e Presidente di CUS Roma Tor Vergata, nonché referente della terza COP, Giovanni Palomba, Professore di Finanza Aziendale presso La Sapienza, Referente della quarta COP, Massimiliano Lucchesi, Docente della Università LUMSA e referente della terza Comunità di Pratica, e Katia Pacelli, Direttrice di Associazione Salvamamme e componente della COP 2. Ad assistere alla sessione di confronto le famiglie utenti del Salvamamme e altre personalità coinvolte nella causa, come: il Prof. Antonino Mancuso, la dott.ssa Alberta Mazzone, la dott.ssa Sandra Frateiacci, e la dott.ssa Erika Morri

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da destra: Lorenzo Donzelli, Manuel Onorati, Massimiliano Lucchesi, Katia Pacelli. Juri Morico, Giovanni Palomba, e Marcello Bogetti

Sports Community: le COP viste da dentro

Il parterre, moderato da Lorenzo Donzelli, giornalista e responsabile delle attività editoriali di risorse.news (media partner del progetto), ha illustrato quanto raccolto in questi mesi di incontri, le idee messe in campo per sviluppare nuovi percorsi e per proporre soluzioni alternative al fine di ridisegnare gli spazi, consentire a tutti, equamente, di poter accedere all’attività sportiva, coinvolgendo le nuove tecnologie, le startup, ma anche gli istituti scolastici e le università. 

Abbiamo cercato di capire come lo sport possa fare cose come curare la salute e far diventare gli spazi urbani dei luoghi dove far giocare i propri figli; e ancora creare un ambiente che non sia a rischio dove si possano avere momenti di confronto e socializzazione”, ha spiegato Marcello Bogetti in apertura. 

Lo sport – ha proseguito – non è solo dei professionisti, ma è qualcosa che tutti quanti possiamo fare; con le opportune politiche, lo sport può diventare una vera occasione di riscatto sociale”. 

Bogetti ha poi passato in rassegna i compiti specifici delle singole Comunità di Pratica. 

La prima ha l’onere di capire come “vivere al meglio nelle nostre città, anche attraverso lo sport”. Un’analisi che deve portare alla realizzazione di “modelli di vita diversi, modelli di aggregazione, una riacquisizione di valori”. 

La seconda, invece, “vuole lavorare sul tema dell’innovazione degli spazi. Lo sport non si fa solo negli stadi, nelle palestre; lo sport si può fare anche nelle strade, ma in una certa maniera. Ad esempio, in un cortile malmesso poi ridisegnato con opportuni spazi e opportune attrezzature. Abbiamo cercato di farci venire delle idee su come gli spazi urbani quotidiani possono essere rivisti e riconfigurati”. 

Sull’argomento è quindi intervenuta Katia Pacelli, che ha partecipato agli incontri della COP2. “Abbiamo la necessità di rendere protagoniste le persone e trasformarle in cittadini attivi. Creare spazi urbani utilizzabili per lo sport e prendersene cura è la missione. Le persone devono diventare artefici di una rivoluzione; Salvamamme ha già questo approccio – un riferimento da considerare come best practice, ndr. Lo sport dovrebbe essere un diritto ma un diritto non è”. 

Scuola e Università come perno del cambiamento

Quanto invece alla terza COP, il coordinatore del CTS ha spiegato che il team di pertinenza ha lavorato partendo da un’indagine, da cui si evince che l’Italia è uno dei Paesi al mondo in cui, nelle scuole e nelle università, si fa meno pratica sportiva. “Questo – ha aggiunto Bogetti – genera problemi per quel che concerne gli stili di vita, la salute, lo stare bene con gli altri, la socialità. Dobbiamo quindi capire come farla diventare un’occasione di crescita, ci siamo fatti venire delle idee”. 

Scuola e università in effetti rappresentano quei luoghi in cui la persona si forma sotto diversi aspetti e lo sport contribuisce in maniera importante sul piano della socializzazione, dell’educazione, del rispetto delle regole. Manuel Onorati ha quindi definito alla platea cosa i partecipanti alla Comunità di Pratica abbiano immaginato di mettere in campo per rafforzare la presenza dello sport negli istituti e soprattutto generare maggiore consapevolezza.  

Si tratta di luoghi di confronto; stare insieme è importante quando si diventa cittadini attivi e parte integrante di un sistema, che può essere complesso cambiare. Questa è la linea generale sulla quale si è basata la cop 3, ovvero analizzare le criticità all’interno di spazi scolastici e universitari”. Un’attenzione particolare è stata posta sul tema della consapevolezza e della sinergia tra le diverse figure che possono contribuire a tale crescita. “Famiglia, istruttore e docente” non hanno un confronto diretto, né rappresentano una rete salda, una triangolazione rodata. “Questo va contrastato con la formazione, abbiamo a tal proposito identificato una figura, lo smart sport counselor: vale a dire una persona che accompagni il triangolo formativo nella cooperazione. Una figura di raccordo che faccia girare gli ingranaggi e consentire la pratica sportiva”.

La COP3 ha anche definito quale sia il tipo di percorso formativo che lo smart sport counselor dovrebbe intraprendere per diventare tale: si immagina un’integrazione al corso di laurea in scienze motorie che consenta di acquisire tutte le competenze necessarie. Un progetto ambizioso che potrà essere ulteriormente sviluppato in futuro. 

Tra solidarietà e futuro

Un salto poi verso la quarta Comunità che rivolge uno sguardo attento e concreto alle persone poste ai margini della società. La COP4, come ha spiegato Palomba, esamina lo sport considerandolo uno strumento non solo utile all’inclusione perché in grado di “costruire opportunità”, ma che è anche in grado di rendere “energico il concetto di valore sociale”. Dunque, il lavoro dei partecipanti verte sulla ricerca di buone pratiche, ma anche di iniziative da passare al vaglio atte ad arginare i problematiche sociali e all’abbattimento delle barriere che rendono ostico l’inserimento, talvolta, delle persone con disabilità, ad esempio. 

Con la quinta, come ha chiarito Bogetti, si è dato spazio all’innovazione. “Abbiamo cercato di affrontare il tema delle nuove tecnologie”, facendo riferimento a “Nuove imprese e startup che si inventano qualcosa per supportare una crescita nell’ambito sportivo”.

Massimiliano Lucchesi ha approfondito riferendo: “Nella nostra COP siamo partiti dai bisogni, anche perché veniamo da un momento particolare – post pandemico, ndr. Noi dobbiamo dare degli strumenti alle persone come spazi fisici – Lucchesi ha quindi riportato l’esempio della riqualificazione del Parco Verde di Caivano (leggi qui), ndr – in quartieri più complicati” facendo in modo però che possano essere gestiti anche dalle associazioni di quartiere. A supporto però serve la tecnologia: “in Italia ci sono tante startup che si occupano di sport, applicazioni per i diversamente abili, applicazioni per le persone autistiche; il nostro obiettivo è che tutte le realtà, in particolar modo le startup, possano essere supportate in fase di crescita e diffusione da comuni o privati perché possano davvero essere utili alla causa”. 

Abbiamo una grande responsabilità”: il commento di Juri Morico

OPES si è fatto fautore di un progetto ambizioso che esplora diversi ambiti della crescita territoriale e del coinvolgimento della comunità nello sviluppo e nel cambiamento in relazioni al reale fabbisogno. Un concetto che il Presidente di OPES, Juri Morico, ha espresso durante il convegno chiarendo però che lo sport non ha una formula magica “lo sport è fondamentale nella sua potenzialità, e nel senso di responsabilità che trasferisce, ma non è sempre una cosa che funziona, può però essere una grande opportunità”.

Allo stato attuale – ha proseguito Morico – lo sport non è accessibile a tutti, può avere un ruolo determinante, se condividiamo questo dobbiamo ammettere che non esistono posizioni neutrali: o si diventa parte del problema o della soluzione. Parliamo dei nostri figli, delle nostre famiglie; le comunità devono essere protagoniste, noi dobbiamo assumerci la responsabilità di proporre dei modelli, dobbiamo fare qualcosa di diverso, ottenere risultati che poi vanno valutati e capire quali sono positivi e quali negativi e che tipo di impatto possono avere sulla vita delle persone. L’aspettativa è che ci rendiamo conto di non essere spettatori neutrali”, un’assunzione di responsabilità e consapevolozza dell’impegno messo in campo. 

Il Presidente Nazionale di OPES ha poi anticipato che a Torino, il 18 e 19 settembre, si terrà una due giorni dedicata ai risultati ottenuti dalle Comunità di Pratica, il cui corso terminerà alla fine di giugno. Infine un plus: il progetto si chiuderà in una location istituzionale di alto profilo il 14 ottobre prossimo.

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